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"A Brighter Kind Of Blue" (Stoutmusic/Audioglobe, 2006) |
Nordgarden “A Brighter Kind Of Blue”
Etichetta: Stoutmusic Brani: A Brighter Kind Of Blue / The Gift Of Song / My Father The Sailor / Good Things Die / Blessed / Metronome / To The River / Monday / What Would Ol’Bob Say? / Weeks At A Time Produttori: Terje Nordgarden & Peder Oiseth
“A Brighter Kind Of Blue” è il secondo album di Terje Nordgarden, folksinger norvegese che ha trovato fortuna in Italia, accasandosi presso l’etichetta fiorentina Stoutmusic, che, rimasta colpita da un suo demo, ha prodotto nel 2003 l’esordio discografico e ora l’atteso seguito. Non cambia la materia trattata, sempre di prima qualità: Terje è maestro nel comporre delicati e sognanti quadretti per voce e chitarra, sulla scia dei maestri Drake, Martin, Buckley. L’inizio è dei più solenni, la tromba che conduce dentro la title-track e che la percorre tutta sembra un must già al primo ascolto, sembra essere rimasta ad invecchiare in qualche cantina della memoria per trenta anni prima di essere finita dentro la canzone. L’album parte dunque come meglio non potrebbe e continua altresì allo stesso modo, affilando una gemma dietro l’altra. Capita che intervengano un banjo o un violino ad arricchire la magia acustica in cui i versi di Terje si inseriscono come un incanto, creando sempre meraviglie. A patto di amare certe sonorità e certi languori. Le quotazioni del cosiddetto New Acoustic Movement sono attualmente in ribasso eppure quando la qualità delle canzoni è così alta è vietato storcere il naso. Dentro “A Brighter Kind Of Blue” Terje scrive, suona e canta meglio di molti colleghi più famosi. A volte si tange il jazz, altre si sconfina nel blues o, addirittura, nel gospel, come nella dolce Blessed, che con la semplicità delle immagini («she is the cure for my pain/…/she’ll be the one to set me free») e dell’arrangiamento con soli violino e chitarra acustica riesce a creare un’atmosfera magica capace di scaldare anche la più fredda giornata invernale. Il violino di Pete Hanafin è il vero protagonista della successiva Metronome, strumentale che non mancherà di suscitare emozione e brividi. Il cuore palpita anche per Monday, struggente canto di solitudine, e per My Father The Sailor, ballata marinaia con una doppia voce sognante e un incedere vagamente caracollante. Quando tutto finisce, viene naturale premere nuovamente play e rifugiarsi ancora dentro la calda malinconia della title-track, con quella tromba a fendere l’aria rurale della canzone, a tagliarla in due.
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Pierluigi Lucadei
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Recensioni |
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il 11 Nov 2006 alle 11:21 |
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