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Canone si o canone no?


Dissertazioni su un'imposta incompresa.

Si avvicina Sanremo e si apre il sipario sulla kermesse tanto chiacchierata. Chiacchierata e basta. Perchè gli ascolti e l'attenzione del pubblico scemano di anno in anno. Ma di anno in anno non scendono altrettanto i costi impiegati nel festival.
E poi le fiction, i film, i telegiornali, i reality. Il palinsesto della televisione di stato è variegato e ricco. Assai dispendioso come qualsiasi altro palinsesto di qualità ( o presunta tale).
La maggior parte degli introiti, si sa, arrivano dalla pubblicità. Ma in questo periodo in cui la parola "crisi" campeggia in ogni discorso, ogni argomento, e in ogni settore anche le aziende investono meno in campagne pubblicitarie. E infatti ne risentono anche le entrate della RAI.
Per risanare le finanze dell'azienda radiotelevisiva, alimentate anche dal cosiddetto canone, si caldeggiava l'ipotesi proprio di aumentarlo e non semplicemente adeguandolo all'inflazione.
Una proposta inseguita da tempo dal presidente Petruccioli e dal direttore generale Cappon è di associare il pagamento dell'abbonamento RAI alle imposte essenziali, come quella dell'elettricità, così da arginare il dannosissimo fenomeno dell'evasione del canone.
Sebbene lo si definisca ancora abbonamento (così è scritto sullo stesso sito della RAI) in realtà si dovrebbe parlare di un'imposta perchè come ha affermato la Corte Costituzionale nella sentenza del 26 Giugno del 2002 n.284, "non c'è alcun nesso di corrispettività in concreto tra obbligo tributario e fruizione effettiva del servizio pubblico", quindi nessuna ragione per chiamarlo così.
Ma allora se non lo si paga in seguito all'uso del servizio radiotelevisivo di stato, per quale motivo lo si fa?In base a quale disposizione?
La legge in questione risale al regime fascista, precisamente si tratta del Regio Decreto-Legge del 2 Febbraio del 1938, n.246. Da premettere che all'epoca esistevano a malapena le radio.
Essa imponeva, e impone ancora, il pagamento del canone a chiunque possegga strumenti "atti o adattabili" alla ricezione di radiotrasmissioni. Indi per cui il gravame scaturisce dal possesso di oggetti che permettano di ricevere e trasmettere programmi radiofonici e televisivi.
Oggi in tale categoria di strumenti ne vanno compresi tantissimi, e quindi bisognerebbe sancire con precisione quali sono gli ambiti dell'applicazione normativa. Ad oggi, 2009 ancora non è stato fatto.
Per un'applicazione corretta dell'imposta e quindi per la definizione del suo ambito d'incidenza, si impegna da anni l'ADUC, l'associazione degli utenti e dei consumatori. Nel 2007 ha presentato quattro diverse interrogazioni in Parlamento sulla faccenda , un interpello all'Agenzia delle Entrate, ma non ha ottenuto nessuna risposta. Un'unica chiarificazione sull'argomento si è avuta con la risposta scritta del sottosegretario alle comunicazioni, Paolo Romani, all'interrogazione dei senatori radicali Poretti e Perduca. Rispondendo con la sentenza sopra citata della Corte Costituzionale ha asserito che definire l'ambito applicativo della legge è un processo meramente interpretativo. Pertanto basterebbe statuire una volta per tutte il possesso di cosa faccia scaturire tale obbligo, andando a colmare la lacuna normativa.
Nessuno ritiene il problema meritevole di attenzione, e a maggior ragione tale legge viene applicata arbitrariamente. Nel frattempo la RAI si è apprestata a effettuare una diversificazione: c'è il canone "speciale" per le aziende, l' "ordinario" per le famiglie.
Ultimamente sul sito degli abbonamenti Rai si trovano queste indicazioni:
Canone ordinario-chi deve pagare il canone (www.abbonamenti.rai.it)
Il canone deve essere corrisposto da chiunque detenga uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive.
Canone speciale-cos'è e chi deve pagare (www.abbonamenti.rai.it)
Devono pagare il canone di abbonamento speciale coloro che detengono uno o più apparecchi radiofonici o televisivi.

Da ciò se ne deduce che l'imposta va a colpire le famiglie maggiormente rispetto alle aziende. Nelle famiglie a far scattare l'imposizione è il possesso di qualsiasi strumento che permetta di fruire di programmi radiofonici o televisivi, quindi televisori ma anche computer e tanti altri apparecchi. Nelle aziende invece, l'onere è solo a carico di chi possiede televisori o radio. Così a fronte di quattro milioni di aziende fornite di computer in Italia, approssimativamente solo 130.000 pagano il canone.
L'ADUC sebbene si sia mobilitata per la completa abolizione di questa tassa ingiustificata e vessatoria, con le sue denuncie e le sue ricerche sta cercando innanzitutto di farla applicare in maniera corretta, senza trattamenti illegittimi e discrezionali.
Sicuramente, la sola presenza di una legge così antica e inadeguata non dovrebbe essere tollerata in uno stato che si professa di diritto ma soprattutto sociale, cioè che col suo sistema di norme cerca di eliminare le disuguaglianze sociali ed economiche dei cittadini. Con la sopravvivenza nell'ordinamento giuridico di una disposizione tale, si ignorano quasi 80 anni di progresso, i quali la rendono pressoché inapplicabile. Nonostante ciò, viene attuata e pure male.
Una riscossione giusta e paritaria del canone, ne eviterebbe un aumento.
Ma non solo. Avrebbe anche permesso a Bonolis di ospitare Angelina Jolie al festival, al momento troppo costosa per le tasche di viale Mazzini.

 Gloria Lattanzi

Editoriali

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