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“Orientarsi con le stelle” (Minimum Fax, novembre 2006 – euro 17,50) |
Raymond Carver “Orientarsi con le stelle – Tutte le poesie”
di Pierluigi Lucadei
Un volume che raccoglie nella loro interezza le composizioni poetiche di Raymond Carver? Ora c’è. Lo mandano in libreria, naturalmente, i tipi di Minimum Fax, che hanno i diritti delle opere dello scrittore americano e che da diversi anni stanno cercando di riempire i vuoti dell’editoria italiana su una produzione, quella poetica, che, sebbene non raggiunga gli apici di perfezione toccati dai racconti, rivela allo stesso modo l’anima di Carver, riuscendo ad illuminarla, forse, di una spontaneità altrove non così generosa. Una produzione ininterrotta, quella poetica, lunga tutta la vita dell’autore. E’ lecito pensare che proprio dall’infinito flusso di immagini e di storie incanalato nei versi Carver cogliesse l’idea da cui far nascere un racconto, trattando le sue poesie come tante piccole muse ispiratrici. E questo è un ulteriore motivo per venerarle.
E’ il tipo di venerazione che si riserva ad un maestro. E Carver lo è stato sul serio, un maestro. Ci ha lasciato pezzi della sua e della nostra umanità attaccati a pagine secche e apparentemente prive di stupore, quando invece, ad una sbirciata solo un poco meno distratta, di stupore se ne trova eccome, stupore della migliore e più alta qualità, quello del poeta del quotidiano, per il quale il minimo gesto, il minimo soffio di vento, il più piccolo dettaglio, la più fragile emozione vengono arrischiati a protagonisti di una storia. E lo stupore accerchia il lettore, all’improvviso lo fa suo. Lo stupore di scoprire storie che tutto ad un tratto paiono irrinunciabili, con un’estetica chiara e riconoscibile. Non l’estetica dell’american way of life, non solo almeno. Oltre, l’estetica delle storie carveriane è per molti versi simile a quella hopperiana, al bello rinvenuto in donne sole su un letto e in avventori solitari di una tavola calda. L’occhio di Carver si posa sulle cose con la stessa curiosità composta di Hopper, indaga la scenografia scarna e l’architettura priva di orpelli della costruzione narrativa, come in un prolungato piano sequenza si sposta a destra e a sinistra del personaggio, non inventa niente, osserva e si stupisce. E’ l’elogio del reale, del visto e dell’a-lungo-guardato. E l’elogio del togliere, dell’assorbire, del ridurre, dello sgrossare, del rifinire per sottrazione. C’è la precisa scelta stilistica di rendere necessaria ogni parola e ogni situazione, perché ciò che è superfluo è tagliato fuori. Una pagina dove tutto è necessario è una pagina necessaria. Rivoluzione carveriana. Che poi si è discusso negli ultimi anni di quanto i tagli fossero figli dello stesso Carver e quanto del suo editore Gordon Lish. Nel rispetto del maestro, è d’obbligo dare un peso relativo alla questione ed essere grati per tutte le volte che siamo stati disarmati con un nulla.
Nulla pare muoversi nelle short stories carveriane. Più corretto dire che il movimento è impercettibile, somiglia ad un dondolare lieve, oscillazioni ravvicinate e ripetute dall’asse del racconto, esso sì immobile. Ma non era lo stesso realismo di Cechov, progenitore di Carver, senza trama né finale? E’ nella stasi, che taluni scrittori e artisti riescono ad esaltare come adesione privilegiata al reale, che si annidano le verità ultime dell’essere. Nulla si muove e nulla si inventa. Tutte le storie sono già esistenti nella realtà, da qualche parte del mondo, in qualche angolo non troppo illuminato, aspettavano soltanto che qualcuno le reputasse degne di essere raccontate e le perpetuasse nella memoria dei lettori. Alcune di queste storie percorrono proprio questo destino. Chi è riuscito a dimenticare, anche anni dopo averli letti, alcuni dei racconti più belli, come quello del bambino investito (non a caso trasposto cinematograficamente da Altman) e quello dei coniugi sorpresi da cavalli bianchi? E chi riuscirà a dimenticare alcune poesie contenute in questo libro, come “Mattina, pensando all’Impero”, in cui due amanti sono colti proprio nell’attimo che precede la fine («il nostro futuro è ben nascosto nel pomeriggio»), o “Paura”, in cui sono elencate, come in una lista della spesa, le paure più autentiche dell’autore («paura del telefono che squilla nel cuore della notte/…/paura di dover identificare il cadavere di un amico/…/paura della calligrafia dei miei figli sulle buste/…/paura di svegliarmi e scoprire che te ne sei andata»)?
E poi un’ultima domanda. Quanta spiritualità trasudano i versi di Carver? A patto che si prenda tutto il tempo neccessario per ammirare il silenzio dei suoi ritratti, chiunque può rispondere. L’accessibilità è un dono che gli scritti di Carver hanno sempre portato con sé. I suoi ritratti sono attimi fermati con uno scatto secco, dentro i quali personaggi modesti eternano i loro gesti riaffermando la semplicità del proprio spirito. Il poeta non può che stupirsi, compassionevole e spirituale, senza mai riuscire a perdere l’innocenza.
«proprio quando lui aveva rinunciato a sperare/di scrivere un solo altro verso/lei si è messa a pettinarsi i capelli»
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Pierluigi Lucadei
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in Vetrina |
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il 23 May 2007 alle 19:14 |
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