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Uno dei più diffusi programmi per la condivisione di file

Peer to peer: “No” del Parlamento Europeo a sanzioni penali

(da unita.it) Scaricare musica da Internet non è reato. A stabilirlo è la direttiva approvata dalla commissione giuridica del Parlamento europeo che, per la prima volta, stabilisce sanzioni penali per il reato di contraffazione commerciale. A salvare gli utenti della Rete dai falchi del diritto d’autore è un emendamento presentato dal relatore italiano della proposta, il diessino Nicola Zingaretti, che recita: «Per violazione commessa su scala commerciale si intende ogni violazione di un diritto della proprietà intellettuale effettuata per ottenere vantaggi economici o commerciali con esclusione di norma degli atti effettuati dagli utenti privati per finalità non lucrative». Grazie a questa formulazione viene escluso da ogni sanzione penale l’uso di Internet da parte di singoli utenti, a cominciare dalla condivisione di file audio e video (file sharing) e dal loro scambio fra pari (peer to peer).

La direttiva votata la scorsa settimana a Bruxelles è di quelle pesanti. Dichiara guerra aperta ad un giro d’affari illegale di centinaia di miliardi di euro in tutto il mondo (sette miliardi l’anno solo in Italia), sguinzagliando squadre investigative in tutti i Paesi dell’Unione europea. Per chi sgarra si può arrivare alla detenzione fino a quattro anni e a sanzioni pecuniarie dai 100mila ai 300mila euro. Di fronte ad un quadro così apocalittico deve essere bastato un po’ di buon senso per convincere gli europarlamentari a mettere definitivamente da parte la vecchia diatriba: scaricare musica da Internet è reato? No, e non lo sarà mai più.

Una risposta che, fino a poche settimane fa, appariva tutt’altro che scontata. Quando la delibera avrà completato il suo iter a Bruxelles, gli utenti della Rete potranno tirare un bel sospiro di sollievo. Quel che dice l’Europa è legge anche per gli Stati nazionali. Per capire quanto valga questa decisione basti leggere la risposta inviata solo pochi giorni fa dal ministro per i beni culturali Francesco Rutelli ad una petizione dell’associazione Altroconsumo: «La distorta pratica del file sharing – si legge - deve essere sanzionata. Circoscrivere - come auspicato da Altroconsumo - i confini del reato al solo esercizio di un'impresa commerciale operante attraverso il file sharing su scala commerciale oltre che provocare un sensibile ed ingiusto danno per gli autori e gli editori, potrebbe comportare nell'opinione pubblica un deprecabile indebolimento del giudizio di disvalore nei riguardi di un comportamento che - pur di minore pericolosità sociale rispetto all'organizzazione su scala commerciale - è comunque abusivo ed illegale, con effetti molto pregiudizievoli su di un fenomeno che già assume dimensioni gravi». Altro che depenalizzazione.

È anche vero che, ad ulteriore garanzia dei patiti del file sharing, è arrivata, a metà gennaio, una sentenza della Terza sezione penale della Corte di Cassazione, che ha accolto il ricorso di due studenti torinesi, cancellando la condanna che era stata loro inflitta dalla Corte d’Appello per aver creato un network per lo scambio di file di musica, video e videogiochi: non era reato perché non c’erano fini di lucro. Esattamente quello che, oggi, ripete l’Europa. Una sentenza, però, che si riferiva alla legislazione italiana pre-decreto Urbani. Se il reato fosse stato commesso qualche mese dopo, probabilmente la sorte dei due sarebbe stata diversa.

In Italia, tre anni fa, si accese il dibattito sul decreto Urbani contro la pirateria informatica. Il provvedimento, nella sua prima formulazione, prevedeva pene severissime anche per gli utenti della Rete: fino a quattro anni di reclusione, multe fino a 15.493 euro, la confisca delle apparecchiature informatiche, la pubblicazione del nome del trasgressore su uno o più giornali a tiratura nazionale. La protesta di internauti, associazioni dei consumatori e dell’opposizione convinse l’allora ministro dei beni culturali a più miti consigli. Rimase tutta via l’ambiguità di una formulazione che, nell’escludere le sanzioni, aveva sostituito la dicitura "a fini di lucro", con quella "per profitto". E "profitto", spiegavano gli esperti di diritto, è anche il risparmio. Come quello di chi scarica un file per uso personale. Almeno fino a ieri.

Giovanni Visone

  

Cronaca e Attualità

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