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Derain, Donna in camicia (1906) |
André Derain: l’esposizione dopo trent’anni in Italia
In attesa della grande riunione simbolista (18 febbraio 2007), che vedrà raccolte alcune tra le più prestigiose opere del secolo passato sotto la poetica allusiva del movimento che vide il fascino e il mistero del mito klimtiano, Ferrara si prepara con un preludio tutto da gustare, all’insegna dell’arte primitiva, quella di Derain, quella che nei primi decenni del novecento trovò, nell’appoggio dei colori abbaglianti, il sogno di una immediatezza emotiva, l’incanto di una seduzione tutta francese, di un’emozionalità segnata come poche da un impatto immediato, senza troppe complicazioni impressa su una tela a fare l’incanto per generazioni di artisti e poeti. Pioniere di un classicismo “reinventato”, di una riscoperta della tradizione restaurata ed interrogata alla luce delle più audaci avanguardie europee del primo Novecento (dal fauvisme al cubismo), André Derain (1880-1954) risulta una figura chiave nell’evoluzione dell’arte moderna. Dalla “Donna in camicia” a “La salita al Calvario”, fino ad arrivare al cuore seduttivo quanto misterioso delle nature morte degli anni 1912-14. Istallata al Palazzo dei Diamanti e curata da Isabelle Monod-Fontaine, la mostra, organizzata da Ferrara Arte in collaborazione con lo Statene Museum for Kunst di Copenaghen, è la prima retrospettiva dedicata in Italia a Derain da trent’anni ad oggi, l’unica fino al 7 gennaio 2007 in grado di fornire, in trenta opere, l’intero arco della carriera, la traiettoria evolutiva di una delle personalità più affascinanti e complesse del Novecento: dagli esordi segnati dall’ardita sperimentazione e ricerca verso quei «segreti perduti» (un’innovazione nel classicismo), fino alle tracce più recenti, segno di quella bella pittura, pulita, celebrazione di colori e luci dedicata perlopiù a ritratti e nudi femminili, quasi a testimoniare in maniera teatrale una maniacale attenzione alle sfumature, quasi che loro parlassero con le diverse tonalità, quasi loro ad essere la chiave di lettura di ogni composizione (che poi è quella di tutta una vita che sui piccoli dettagli costruisce castelli di emozioni). Nell’anarchia dei colori puri, nell’irruenza delle dissonanze cromatiche, Derain col clamore e lo sconcerto per la critica del tempo. La sregolatezza, l’astensione - o meglio lo scioglimento - delle geometrie, le origini e la fusione con quello che è un futuro prima del tempo, che allunga le mani anticipando la storia, in un cocktail tra quello che fu e quello che della pittura poi sarebbe stato: il capolavoro di un linguaggio diverso e di una riflessione lontana da stereotipi, con un nome suo, proprio, solo vicino ma mai uguale tanto da sovrapporsi a quello di ogni altro grande, ognuno d'altronde a parlare la propria lingua sulla storia di una tela.
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Alex Urso
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Cultura e Spettacoli |
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il 28 Oct 2006 alle 10:14 |
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