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Ricordare le vittime del terrorismo

di Giovanni Gaspari

Ricordare le vittime del terrorismo a San Benedetto è due volte doveroso, sia per la giornata nazionale istituita dal Parlamento, sia perché quella storia è passata di qui non marginalmente, coinvolgendo tanti giovani di allora, fino a diventare purtroppo cronaca nazionale ed oggi memoria di un passato doloroso, non completamente rischiarato da piena luce circa dinamiche e responsabilità, fenomeno che in maniera tanto più inquietante si è ripresentato quando nessuno se lo aspettava, con gli omicidi D’Antona nel 1999 e Biagi nel 2002.
Se in questi anni l’Amministrazione comunale di San Benedetto ha cercato di approfondire i temi delle varie giornate della memoria, fino al recente viaggio di istruzione degli studenti sambenedettesi al campo di concentramento di Mauthausen, in questo caso si tratta di fatti accaduti anche nella nostra città, lungo le strade che percorriamo ogni giorno. La data del 9 maggio per questo nuovo “Giorno della memoria” è quello in cui fu ritrovato il corpo senza vita di Aldo Moro, uomo del dialogo e della positiva voglia di costruire, al di là di steccati e ideologie. A capo delle Brigate Rosse e di quella scellerata impresa c’era un uomo come Mario Moretti, nato e cresciuto a Porto San Giorgio.
Nello stesso giorno dello stesso anno fu ucciso Peppino Impastato, vittima della mafia, esempio di coraggio che abbiamo voluto ricordare durante la scorsa festa del patrono San Benedetto Martire, intitolandogli una via al Paese alto.
La nostra città non ha rimosso e non ha dimenticato nulla. Recentemente ha fatto riflettere tutti noi il pregevole lavoro di Luigi Maria Perotti dedicato al caso Peci, che scosse allora San Benedetto come qualcosa che accade davvero, rispetto alle tensioni e alle minacce che aleggiavano nell’aria, alimentando un clima che molti ricorderanno. Patrizio Peci era ai vertici dell’organizzazione, e fu poi il primo pentito delle BR, il rapimento e l’uccisione di Roberto Peci il primo caso di rappresaglia. Roberto fu prelevato in via Arrigo Boito, che è mia intenzione intitolare proprio a lui. E quello non fu l’unico fatto di sangue a San Benedetto in quegli anni: ricordiamo l’uccisione di una persona estranea al terrorismo, in via Ugo Bassi, il ferimento di una cassiera nel tentativo di scipparle del denaro, davanti alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, e altri episodi ancora.
Riflettere sul terrorismo di quegli anni vuol dire pensare alla storia europea e occidentale del dopoguerra, ai movimenti che attraversarono il mondo giovanile fino alla lotta armata, più circoscritta in paesi come la Francia o la Germania, più dilagante in Italia. Riflettendo su ciò che avvenne a San Benedetto possiamo dirci ragionevolmente sicuri che quelle ferite non daranno altro sangue, che quel periodo è alle nostre spalle, anche se l’ombra del dolore può sopravvivere, specie nei familiari, oltre che nella comunità cittadina.
Abbiamo il dovere di ricordare, perché le vittime del terrorismo evocano una lacerazione del tessuto sociale, come causa di questo fenomeno. Gli omicidi più recenti, ancorché attribuiti a gruppi male in arnese, gettano luci sinistre su quel tessuto sociale che pensavamo ricostituito, e reso immune da sufficienti anticorpi. Penso che parlare di disagio sociale, di folle progetto politico o di qualunque altra motivazione alla base di queste pulsioni di morte non ci aiuti né a capire né ovviamente a giustificare. Il terrorismo non ha giustificazioni.
Lo Stato italiano ha saputo sconfiggere il terrorismo grazie all’impegno e all’intelligenza di uomini straordinari come Carlo Alberto Dalla Chiesa, che iniziò peraltro la sua carriera nell’Arma dei Carabinieri a San Benedetto, partecipando alla Resistenza. La memoria di fatti così recenti da arrivare a lambire il presente è un dovere che abbiamo ancora una volta verso i giovani, i quali hanno il diritto di sapere, quello ad una società più giusta, con pari opportunità di partenza per tutti, e il dovere di arginare la violenza e non infliggere sofferenza agli altri, né oggi né mai. Non esistono scorciatoie o società perfette: le prime ci fanno ricadere nella dura realtà, l’illusione delle seconde la peggiorano. Possiamo migliorare tutto, a cominciare dal nostro presente, ma passo dopo passo, senza mai limitare la libertà di nessuno.


 Redazione 

Primo Piano

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