di Vincenzo Luciani
Non è un caso se proprio nel tempo dell’adolescenza assistiamo con così tanta frequenza allo sbocciare di disturbi del comportamento alimentare come l’anoressia e la bulimia. Disturbi che, apparsi nella nostra società a partire dagli anni ’60, hanno acquistato nel corso dei decenni la veste di una vera e propria epidemia.
L’adolescenza costituisce, infatti, quel momento cruciale dell’esistenza in cui il ‘bambino cresciuto’ tenta di affermare in modo inedito il proprio desiderio. E’ il tempo in cui, finalmente, si può mettere alla prova il desiderio infantile attraverso un progetto che lo catapulti al di fuori del proprio nucleo familiare. Questa progettualità concerne anche l’assunzione del corpo sessuato. La pubertà costringe, infatti, a fare i conti con la sessualità. Ma per poter incontrare l’altro dell’amore e del sesso non è sufficiente la nuova carica ormonale che abita il corpo. Occorre soprattutto un desiderio che sia capace di fare i conti con quello dell’eventuale partner. L’anoressia e la bulimia indicano invece una difficoltà proprio a questo livello, rivelando l’impossibilità di far incontrare il proprio corpo con quello dell’altro. L’adolescenza si mostra come una strettoia che obbliga a scoprire le carte che si ha in mano. La separazione psicologica dai propri genitori, passaggio essenziale per poter definire in modo stabile la propria identità personale e sociale, risulta piuttosto complicata per questi ragazzi. L’anoressia e la bulimia, d’altronde come altri tipi di comportamenti sintomatici, rappresentano una modalità per tentare di separarsi dalla ‘presa’ genitoriale. Tuttavia si tratta di una modalità di separazione francamente patologica. Siamo dinanzi ad una soluzione inadeguata rispetto al compito di prendere le distanze dai genitori. Abbiamo a che fare con una falsa separazione.
Tanto più nell’infanzia il desiderio del figlio si è limitato ad assecondare passivamente le aspettative dei genitori, tanto più in adolescenza cercherà, pur senza saperlo, di affermare il proprio desiderio come un ‘desiderio contro’gli altri, come un desiderio in opposizione a quello degli altri.
Gli adolescenti, invece di proiettarsi nel mondo, si servono inconsciamente della scelta anoressica e/o bulimica per tentare di affermare ‘infantilmente’ un falso potere sui loro genitori. Privandosi del cibo, abbuffandosene insaziabilmente, o alternando pasti inadeguati a irrefrenabili abbuffate, sfidano i genitori, li provocano, li angosciano. Senza rendersene conto mettono a rischio la propria vita per affrancarsi dalla presa soffocante dei genitori. Con i loro comportamenti in realtà rimangono legati mani e piedi alla mamma ed al babbo.
La manovra anoressico-bulimica messa in atto per sottrarsi al desiderio soffocante dei genitori mostra il fiato corto: la fuga dal desiderio parentale mostra, al contrario, quanto assoluta ne sia ancora la dipendenza.
Possiamo, dunque, sostenere che la vera malattia di questi giovani adolescenti non sia rappresentata dalla dipendenza dal cibo, quanto piuttosto dalla dipendenza insuperata dal desiderio genitoriale.
Ma il ‘vantaggio’ che inconsciamente traggono da questi disturbi è legato anche all’uso particolare che fanno del proprio corpo. Non potendo intrecciare la propria storia con quella di un vero partner, nell’anoressia-bulimia ci si accontenta di trarre piacere dal tentativo, comunque fallimentare, di controllare il proprio corpo. L’anoressia-bulimia è infatti una sorta di nuova religione tesa ad esaltare l’immagine del proprio corpo magro (si tratta infatti di una patologia conosciuta soltanto nella civiltà occidentale). Tuttavia la luna di miele con il proprio corpo dura poco perché alla restrizione alimentare subentra quasi sempre la bulimia. Il progetto anoressico-bulimico è dunque destinato a fallire inevitabilmente: o perché ci si sfinisce fino alla morte o perché si finisce, prima o poi, con il perdere il controllo sull’immagine del proprio corpo.
Il tentativo di curare, il più precocemente possibile, questi disturbi ci obbliga, dunque, a spostare l’accento dagli effetti alle cause, dallo stomaco alla mente (fatta salva la necessità di intervenire medicalmente là dove si corre il pericolo di morte). L’intervento psicoterapeutico dovrebbe essere volto a far sì che questi giovani possano disporre di un nuovo statuto del desiderio. Occorre che siano abitati non da un desiderio che opponendosi a quello degli altri finisce con il distruggere la loro vita, ed anche quella di coloro che hanno accanto, ma da un desiderio che riuscendo a non farli indietreggiare dinanzi all’altro si rivela, infine, compatibile con il piacere dell’esistenza. Si tratta di permettere a questi ragazzi di dare una risposta nuova ad un problema antico. E’ solo così che potranno oltrepassare veramente l’uscio di casa ed incamminarsi per le strade del mondo senza correre rischi supplementari rispetto a quelli che nel nostro tempo già si incontrano in sovrabbondanza.
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