di Vito Palumbo*
"Cronache della paura". E' questo il titolo della nuova rubrica inaugurata
da Studio Aperto, che fa una panoramica dei fatti di cronaca più efferati
e che si aggiunge alla "nomale" edizione del telegiornale: ogni notizia
della rubrica è intervallata dal suono della sirena della polizia e una
grafica con immagini a tema poliziesco. Il tutto all'"ora dell'aperitivo",
come cantava De Andrè, quando a casa le fasce più deboli della società si
preparano per il pranzo. E' solo l'ultimo esempio della dilagante
necrofilia dell'informazione italiana.
Viviamo nella società della paura? Oppure è la nostra percezione delle
cose a farci avere paura? O la paura conviene a qualcuno? L'incutere
terrore è, ed è sempre stata, una fonte di potere, di oppressione.
All'oppressore è sempre convenuto avere un suddito ignorante, quindi
timoroso e impossibilitato ad avere una coscienza di sè e delle cose. Per
tenere buono il "popolo bue" si è sempre cercato di dare ad esso quel
panem et circenses sufficiente per farlo sopravvivere. L'uomo non è sempre
vissuto nella bambagia. Siamo il risultato di tante generazioni di
sopravvissuti alle malattie, temprati alle guerre, dagli eventi della
natura. Eppure oggi, guardando a come determinati organi di informazione
trattano e scelgono le notizie si ha una visione della realtà
apocalittica. Fino a qualche tempo fa le previsioni del tempo ogni sera
venivano trasmesse da placidi signori sulla cinquantina che facevano anche
un po' di erudizione meteorologica e geografica: si parlava di isobare e
di anticiclone delle Azzorre, si imparava dove si trovavano le Baleari e
il golfo di Guascogna. Oggi qualsiasi fenomeno meteorologico deve
diventare fonte di paura. L'arrivo della pioggia viene definio "allarme
meteo" e l'arrivo dell'autunno, anche se per mesi avevamo ballato la danza
della pioggia contro l'allarme incendi, di per sè, e per fortuna, non è
per noi una notizia. Loro invece no, lo traferisono nei tg. D'estate il
caldo diventa la scusa per trasmettere insulse interviste per strada dove
si chiede alla gente se fa caldo. Dobbiamo aver paura di allagamenti,
frane, alluvioni e dell'influenza con chiamate alla vaccinazione di massa:
praticamente un cataclisma. Anche se l'evento si è verificato a migliaia
di chilometri di distanza dobbiamo aver paura lo stesso perché è una spia
dei cambiamenti climatici che il futuro catastrofico ci riserva.
Dobbiamo avere paura della disoccupazione prima e della flessibilità dopo.
Vengono invocate nuove leggi speciali per il terrorismo, la mafia, gli
ultrà del calcio, i pedofili, come se non bastassero le troppe norme già
esistenti. Dobbiamo aver paura del diverso, dello straniero di un
orientamento sessuale anche se non si concretizza. Dobbiamo aver paura di
internet, ricettacolo di tutto ciò che devia da quella che è una presunta
idea di normalità. Dobbiamo aver paura del cinese che ci contagia di Sars
o di un pollo che ci contagia dell'influenza dei polli, salvo
dimenticarsene qualche mese dopo. Dobbiamo aver paura di uscire di casa,
ma non basta. Il vicino di pianerottolo potrebbe essere un feroce
assassino animato da futili motivi e i nostri familiari potrebbero
rivelarsi una persona diversa da quella per anni conosciuta. In ultima
analisi dobbiamo avere paura di noi stessi. Si sa, la realtà supera la
fantasia, e la cronaca supera entrambe. Non si rischia di arrivare al
livello di saturazione quando siamo arrivati a imparare quali sono quasi
tutte le più orride modalità con le quali un essere umano uccide o offende
un suo simile? Sgozzato, impiccato, con la testa mozzata, con vari tipi di
armi e arnesi. Prima o poi questo campionario si esaurirà? Il rischio è
che la risposta sia no.
Vi chiedo, giornalisti di "Studio Aperto": dopo aver mandato la vostra
sigla di apertura con i titoli terroristici con il sottofondo musicale
terrorista, dobbiamo aver paura di tutto o di qualcosa alla volta? Se il
problema di una settimana fa era quello di non mandare i figli ventenni a
studiare dal compagno di scuola, e se oggi dobbiamo avere paura del
freddo siberiano, possiamo dimenticarci dell'allarme di due settimane fa,
che ad occhio e croce era quello dei romeni? Oppure dobbiamo fare la somma
ed avere paura il triplo?
E' urgente che tutti noi impariamo a conoscere quali sono gli interessi
del mondo dell'informazione, soprattutto quando il livello qualitativo si
uniforma verso il basso. Dobbiamo renderci conto di quali sono le
dinamiche che presiedono alla circolazione delle idee, del sapere,
dell'infomazione. I fatti di sangue, la criminalità sono davvero così
aumentati tanto da giustificare allarme e paura? La gara a chi la spara
più grossa non ha limite se non nell'intelligenza di chi ascolta. Dobbiamo
usare la nostra intelligenza impigrita e conoscere prima noi stessi e poi
i fenomeni, soprattutto adottando il metodo scientifico, riscoprire come
esista il fare oltre che il parlare. Occorre riscoprire il piacere, oltre
che l'utilità, di fare sport invece che parlarne, coltivare le zucchine
invece che scannarsi in televisione sul perché costino 4 euro al chilo,
intraprendere iniziative politiche e sociali invece che gridare al
"governo ladro", utilizzare invece che consumare i mezzi tecnologici messi
a disposizione per creare scrittura e immagine. Abbiamo perso la capacità
di fare e di intraprendere. Neanche la classica intrapresa criminale, in
parte figlia dell'italiana arte d'arrangiarsi non rientra più tra i nostri
canoni. Non ci sono più neanche i delitti di una volta, figli di inventiva
e strategia, oppure non ce ne parlano. Si uccide per follia, senza un
senso. Il rimbecillimento regna sovrano. I nostri genitori e nonni hanno
vinto la fame, noi ci facciamo vincere dalla noia. Larghi strati di
popolazione non ha i sufficienti anticorpi culturali per non farsi
sommergere dai messaggi proposti dal consumismo con contenuti alternativi.
Siamo ossessionati dalla performance e dividiamo la popolazione tra
sfigati e fighi. Così come è diviso in due "Studio Aperto": la prima parte
dedicata alla paura e alla sfiga, la seconda a chi, con merito o furbizia
non importa, ce l'ha fatta davvero, con un contorno di quello che Luigi de
Marchi chiama T.L.C. "Tette, Lustrini e Culi" a dare "contenuto" al mondo
delle TeLeComunicazioni. L'ambizione di voler far parte della seconda
categoria, e di sapere inconsciamente di non potercela mai fare, porta una
fetta sempre più grande di popolazione ad essere frustrata, e per questo
ad aspirare ad avere la capacità di sopraffare il primo che ci capita
sotto mano. Si va in vacanza all'estero per raccontarlo agli amici, magari
per umiliarli o sentirsi meno inferiori. Non si ha la pazienza di
aspettare chi ci precede al semaforo verde per correre a casa per cenare
per poi fiondarsi sul divano e guardare Maria de Filippi. Ci si indebita
fino all'impossibile. Si viola la legge. Perché? Perché sennò si è
perdenti. Sfigati. Dalla voglia di sopraffazione all'omicidio per futili
motivi, passando per il degrado culturale e una vita vuota di ogni
contenuto, sogno, aspirazione, il passo è più breve di quanto si pensi.
Emancipiamoci ed eleviamoci! La vita è fonte di opportunità oltre che di
rischi. Usiamo quella porzione di libertà che il vivere in questa epoca ci
ha riservato. Usiamola bene e facciamo in modo che i nostri figli ne
abbiano di più. Dobbiamo essere coscienti del fatto che le minacce alla
libertà sono sempre nuove. Per rendersi conto di tutto questo
occorrerebbe arrestare il degrado culturale e di conoscenza che,
nonostante tutti i mezzi tecnologici a disposizione, ci sta sommergendo.
* vitopalumbo@vitopalumbo.it