Fine Before You Came “Sfortuna”
Etichetta: Autoproduzione / Triste / La Tempesta Brani: Buio / Fede / Listamix2_ok / Natale_Cena / O è un cerchio che si chiude / Piovono pietre / Vixi
E tu che pensavi che fuori c’era troppo sole per riuscire a parlare di loro. La verità è che a sognare il giorno in cui saremo felici e pienamente sazi ci faremmo la muffa. E così i Fine Before You Came. Perché in estate non c’è il sole tanto quanto in autunno. Perché le pinne e gli occhiali ce li abbiamo alle spalle come questo cazzo di fucile puntato al collo. Quando il mare è una tavola blu ed il cielo è buio da far paura. I Fine Before You Came dal duemila si sottraggono alla bellezza del dolce menarsela. Perché con tre dischi si sono circondati di rispetto come pochi, soprattutto alla luce di un genere profondo, troppo introspettivo per un mondo che non ha voglia di guardarsi dentro. Eppure, rimanendo in una nicchia riservata a pochi, si sono coltivati uno spazio di credibilità nazionale (e non) che questo album conferma in modo maturo. “Sfortuna” è il loro quarto lavoro, e soprattutto il primo in lingua materna, che sarebbe l’italiano, che sarebbe la poesia. Sette pezzi davanti cui è inutile nascondersi. Luna piena, mezza sera d’estate. Gli ombrelloni di questi tempi ti copriranno pure dallo sguardo del sole, ma vedersi allo specchio senza filtri è tutta un’altra storia. Sette pezzi che sono sensazioni. Lunghi fraseggi metallici e dilatati. Da “Buio” a “Piovono pietre”. Tutto è floscio e stanco, scandito da una lunga camminata appesantita. Bellissimo malessere, quello professato da tutti, da quando abbiamo deciso di sentirci finalmente alienati. Da quando abbiamo capito di essere piccoli. Quel malessere che tutti professano e che ti meravigli se ancora qualcuno riesce a cantarlo. “Sfortuna” è un album denso. Le parole piene, un suono rock umorale caldo che ti prende senza fretta. Che ti dà confidenza nonostante la paura di averne paura. Aggressivo, rauco come debole e bisognoso di affetto. L’urgenza di un sentimento, lo stimolo a raccontarsi. Testi che sono una condensa di gocce pesanti, che stillano sul vetro, scendono lente, fino a bagnarti quel pullover giovanile che ancora non hai deciso di toglierti non capendo che per tutti gli altri una nuova estate (oltre l’inverno) è iniziata. Suoni inquieti e rarefatti, sensazioni scure. Timidi singhiozzi e poi un improvviso segnale isterico, uno stimolo a qualcosa, che comincia a martellare, convinto di arrivare, di poterci riuscire, prima di tornare all’abbandono di una strofa, di un finale, di un arpeggio lento. Quando fuori è buio. Luna piena, mezza sera d’estate. E chiudere gli occhi anche oggi non basterà a farti sognare.
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