Peperoncino… che passione
Il peperoncino piccante (Capsicum annuum) appartiene alla famiglia delle Solanacee come la patata, il pomodoro e il tabacco. Antichissime sono le sue origini. I messicani iniziarono a coltivarlo nel 5.500 a.C. ma lo conoscevano da ben 9.000 anni. In Asia e in Africa fu subito apprezzato tanto da diventare un ingrediente fondamentale della cucina tradizionale. In Europa arrivò grazie a Cristoforo Colombo che lo importò dalle Americhe. Ciò che rese unico questa spezia fu la sua piccantezza dovuta alla capsaicina, sostanza presente non nei semi ma nella membrana interna detta placenta. Non occorre, dunque, togliere i semi per ridurre il gusto piccante del frutto ma è preferibile eliminare la placenta. Il peperoncino rappresentò per la cucina povera una vera e propria svolta in quanto riuscì a dare sapore a cibi che non ne avevano. Al contrario, fu bandito dalla cucina dei ricchi che lo vietarono considerandolo eccitante e capace di risvegliare i sensi con poteri diabolici. Numerose sono le varietà oggi in commercio che si differenziano per dimensione e forma del frutto. La varietà cerasiferum ha piccoli frutti rossi simili a ciliegie, quella fasciculatum produce peperoni allungati e molto piccanti, quella bicolor ha frutti piccoli e dalle sfumature rosso-violette, quella Christmas-candle è utilizzata come ornamentale per i suoi frutti tondi che permangono sulle piante fino a dicembre. Consumato fresco, essiccato, affumicato, cotto o crudo, una cosa è sicura: se non si esagera con le quantità, la sua piccantezza non copre ma esalta il gusto delle pietanze. Sveliamo un segreto: “il peperoncino rosso quanto più è piccolo tanto più è piccante”. Tra i piccantissimi troviamo il tabasco, coltivato in Sud America e il diavolicchio dell’Italia meridionale, il pepe di Cayenna e i peperoncini del Cile. I frutti possono essere essiccati e utilizzati a scopo gastronomico in diversi modi: interi, spezzettati per aromatizzare l’olio di oliva o preparazioni sott’olio; polverizzati per preparare una spezia molto piccante, la paprica; raccolti ancora verdi e acerbi e conservati sottaceto; tritati e miscelati ad aceto e sale per realizzare la salsa messicana nota come Tabasco. In Italia una delle regioni in cui il peperoncino è l’elemento base in cucina è l’Abruzzo seguito dal Molise, la Puglia, la Lucania, la Calabria e la Sicilia. Anche se per molti il peperoncino rappresenta una vera e propria passione, ciò che lo rende insostituibile sono le sue molteplici proprietà terapeutiche. È noto infatti che il “capsicum” contenuto nel frutto e alcuni suoi derivati rientrano nella composizione di numerosi farmaci. Ma a chi fa bene e a chi fa male il peperoncino? Innanzitutto il peperoncino contiene sostanze azotate, cellulosa, capsaicina, esperidina, citroflavonoidi, lecitina, vitamina C, vitamina PP, vitamina E, vitamina K, vitamina P, vitamina A, sali minerali (potassio, rame, ferro), che sono indispensabili per il nostro organismo e che per poter essere assimilate devono provenire da cibi consumati crudi, per cui consumiamolo ma consumiamolo crudo. Il peperoncino è anche uno stimolante puro e sicuro, favorisce il sistema circolatorio, normalizza la pressione arteriosa, ricostruisce il tessuto dello stomaco e rimargina le ulcere gastriche e intestinali, combatte la gotta, il raffreddore, i colpi di freddo, le congestioni, le costipazioni, la tosse, i crampi, il vomito, la debolezza, il mal di stomaco e di denti, le palpitazioni, le emorroidi e le nevralgie. Al contrario non ha grosse controindicazioni ma è sconsigliato alle donne durante la gravidanza e l’allattamento, ai bambini e ai soggetti che assumono farmaci anticoagulanti.
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