"Le ragioni dell’aragosta" di Sabina Guzzanti
di Chiara Poletti Da Avanzi a Berlusconi, l’ultima “ancora” è credere all’impossibile, appigliati alla libertà del disinteresse. Un film nostalgico ma non arrendevole in cui vince l’amicizia e la maturità di Sabina. Meno risate di Viva Zapatero. C’è una bellissima “morale” e quindi un buon motivo per andare a vedere l’ultima “fatica anti-politica” di Sabina Guzzanti. Le ragioni dell’aragosta, accolto a Venezia da un fragoroso applauso, lancia l’ennesimo monito al sistema mediatico bloccato dai partiti. E lo fa come un epilogo che testimonia tanti anni di battaglia politica, un revival di Avanzi, il celebre show degli anni 90. E non a caso nel film sceglie il tema delle aragoste, rosse e corazzate come la sua poliedrica verve di fare satira. Ed è una metafora di fondo molto semplice e ben pensata per un preciso motivo. Il film, infatti, prende come alibi la crisi dei pescatori in un villaggio sardo, di cui Sabina, -interprete di se stessa (oltre che sceneggiatrice e regista)- si prende a cuore il problema della scarsità delle aragoste, mettendo in scena uno spettacolo di sensibilizzazione per salvare l’economia ittica locale. E lo fa non accontentandosi di un piccolo palcoscenico dimenticato da Dio. Per uscire dall’anonimato che aleggia nel dormiente paesino di Su Pallosu, decide di affittare niente meno che l’anfiteatro da 5000 posti di Cagliari. E poi chiama a sè tutta la “vecchia combriccola” televisiva di Avanzi, con la determinazione di un leone maschio, ma anche con la crescente e sempre più lucida consapevolezza, che tutto questo, è assurdo, ridicolo, e forse inutile. Perchè in fondo, riflette sul set Sabina, a chi deve interessare veramente, la questione di questi poveri pescatori, dimenticati da Dio? Chi dovrebbe seriamente prendersi a cuore il problema delle aragoste? Proprio 4 “sfigati” come noi? Sabrina incontra anche il vero presidente della regione Sardegna (Soru) che sembra non crederci neppure lui. Sembra... Ed è proprio qui il nesso biografico con la Guzzanti. Un’analisi codificata, una riflessione “intima e pubblica” che fa di se stessa, alla luce dei risultati ottenuti per scuotere il sistema politico. Sabina nel film si chiede: chi siamo noi della satira politica, che studia sui quotidiani i poteri, i privilegi, e il perchè gli editoriali della guerra in Iraq fanno comodo alle lobby? E nella prima parte del film, la risposta è demoralizzante, svilente, e anche un po’ romantico-metaforica come la storia dei pescatori. E’ difficile organizzarsi, tenere duro, non cedere. E Sabina all’inizio sembra dirci, che gli autori satirici sono un po’ come aragoste “scadute”, gente di spettacolo, canzonatori, che hanno fatto ridere e basta, che sono stati epurati, emarginati e hanno combattuto inutilmente una battaglia politica più grande di loro. A differenza di quella estrosità che siamo soliti vedere nei suoi show dal vivo, il film può aprire altri costrutti. E Sabina lo fa. Attraverso un film che sembra un “docu-film” un “reality show degli intellettuali si sinistra” prendendo a prestito un naturalissimo Stefano Masciarelli, una coraggiosa Cinzia Leone che dal set di Avanzi, dopo la paralisi, è cambiata ma non si dà per vinta -e qui il coraggio di far vedere le vere fotografie della sua degenza ospedaliera...è ammirevole!!- e poi Antonello Fassari, il rosso, e una frizzante Francesca Reggiani in duo amoroso con il “cipollino” Pierfrancesco Loche. In realtà, lo spettacolo per salvare i pescatori, non c’è mai stato e l’alibi, il leit motive, dietro cui si cela, la rivincita dei semplici, è la morale del film: crederci fino in fondo, per far vivere quel pensiero. E questa è l’unica finzione del docu-film. I pescatori hanno ottenuto davvero un finanziamento dalla Regione Sardegna. Il film invece, promette bene: la distribuzione è dell’Istituto Luce e ha ottenuto il finanziamento del Ministero dello spettacolo.
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