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Gazebo Penguins _Foto di Jukka Reverberi

Intervista ai Gazebo Penguins

di Urso Alex

Da poche settimane è uscito "The Name Is Not The Named", il loro secondo disco. I Gazebo Penguins ce lo descrivono con una lunga chiacchierata, stravagante, filosofica e punk. Poesia, scrittori, animali, nebbie emiliane e conti polacchi. Un marasma di parole e pensieri da discount. Alex Urso li ha intervistati.

Ciao ragazzi. Innanzitutto presentatevi. Chi sono i Gazebo Penguins?
Capra: I Penguins sono un trio di power punk per chi ascolta power metal. Ma non solo. O forse non più.

Secondo lavoro. Fresco fresco d’uscita. “The name is not the named”. Chi è quest’album?
Capra: …è un secondo lavoro, appunto. Tipo quelli che fanno due lavori. Tipo mio zio, che vive in Lussemburgo, e fa due lavori.
Sollo: È tutto quello che i Penguins vorrebbero o meno essere. È il cercare di dare un senso a qualcosa con un metodo e una forma che in realtà un senso vero e proprio non hanno.
Capra: Così sembra una roba kantiana.
Sollo: Cioè, per noi scrivere queste canzoni è stato come trascrivere in forma musicale il marasma di pensieri che, quando ti sdrai sul divano la domenica pomeriggio, prende il sopravvento.

Quanto vi rappresenta a distanza dal primo “Penguininvasion”, corposo ep di presentazione del 2006?
Sollo: Diciamo che “Penguinvasion” ci rappresentava alla grande nel 2006 per l’appunto. In 3 anni di cose ne sono successe molte, e invecchiare fa parte di queste cose. Maturare anche. “The name is not the named” è un disco più maturo per noi; volevamo più melodia e l’abbiamo messa. Volevamo più pezzi. Ora che con quest’ultimo disco abbiamo trovato la forma canzone, chissà magari il prossimo potremo lavorarlo allo stesso modo ma finalmente sfogandoci con sonorità più dure.
Peter: Qualcosa mi manca di “Penguininvasion”. Forse la potenza/violenza di alcuni pezzi, la componente hardcore che veniva dalla fresca adorazione che avevamo per gruppi come i Refused. In “The name is not the named” siamo più orientati verso la melodia. Il risultato è sentire le mie sorelle che girano per casa canticchiando i nostri pezzi, o vedere ai concerti gente di ogni tipo che si muove presa dal ritmo. Una gran bella soddisfazione!
Capra: Per me “The name is not the named” è come le lenzuola appena cambiate. Che son perfette e illibate e senza peli in fondo dai piedi. E' un disco che ti fa venire voglia di farti la doccia. Di andare scalzo. Di dormire un'ora in più. Di riempirti la bocca di acqua e fare le fontanelle con gli amici.

Dal disco si percepisce una forte intesa (com’è che si dice, affiatamento?) tra voi. Da quanto tempo suonate insieme? Com’è nato il progetto Penguins?
Sollo: Affiatazione? Dunque: per quanto riguarda il sottoscritto e Capra suoniamo insieme da veramente tanto tempo. Direi almeno 7\8 anni. Con Peter avevamo suonato qualche volta nel gruppo del liceo a fare le cover per le sbarbe, poi ci siamo ritrovati dopo qualche anno proprio per formare i Penguins… che suonano ormai da 4 anni direi. Erro?
Capra: Erra pure. Il progetto Penguins, come tutte le nascite, è comunque nato da un rapporto sessuale. Da un'intesa amorosa. Da una libido sfrenata e irrefrenabile, dal gusto del caffé e l’energia del cioccolato.
Peter: Per essere precisi,  il nostro primo live insieme come Gazebo Penguins è stato il 25 Settembre 2004 al TempleSkatepark di Correggio, dopo appena due settimane di prove... che fatica che ho fatto, non ero ancora abituato ai ritmi dei Penguins!

“Penguininvasion” e “The name is not the named”. Tre anni nel mezzo. Cosa avete fatto nel frattempo?
Capra: Una figlia.
Sollo: Suonato. Per quanto mi riguarda, non solo coi Penguins, ma anche con My Awesome Mixtape e Irmavep. Poi la mia attività di tecnico del suono per gruppi come i Giardini di Mirò e altri mi ha dato tanto, tante esperienze, tante conoscenze, tanta maturità per l’appunto. Siamo cresciuti dai, Capra ha anche avuto una bimba che spacca!
Peter: Ho lavorato per portare avanti il progetto soolid.it, ho suonato un sacco di metal e...... mi sono innamorato!

Musiche piene, corpose, violente quanto basta. Tecniche, coordinate. Renzo Stefanel (ROCKIT.IT) nella recensione del vostro primo lavoro parla di Artic Monkeys, Fugazi e Placebo come probabili influenze al vostro suono. Personalmente mi trovo d’accordo. Indie inglese e groove post rock anni ’90. Tutto proposto forse con un pizzico di genuinità, o ingenuità, italiana.
Capra: Meglio Fugazi degli altri. Aggiungerei qualche tempo dispari, l'amore per i finali e un pizzico di epistemologia che non fa mai male.
Sollo: …dio i Placebo proprio non saprei (forse perché non mi sono mai piaciuti). Certo dagli anni ‘90 facciamo fatica ad uscirne, ma in fondo perché uscirne.. Abbiamo sempre avuto la fortuna di poterci confrontare con gruppi della nostra zona davvero impressionanti a livelli di tecnica e impatto (vedi gli amici Anna Karina) e ciò ci ha sicuramente spinti a suonare per suonare bene.
Peter: Le mie influenze ai tempi di “Penguinvasion” erano Refused sopra tutti, e poi At the Drive-In, JR Ewing, Deftones, Vaux per dirne alcuni. Se sono usciti Placebo, Artic Monkeys e Fugazi è colpa degli altri pinguini.

Pubblico e dintorni. Power-punk, power-metal, power-indie, power-Romina. Dal vostro disco sembra che sfuggiate ad una probabile etichetta, soprattutto in un eventuale confronto nostrano. Per chi suonate? Chi vi ascolta?
Sollo: Suoniamo per noi innanzitutto, per il piacere di farlo, perché è bello, ed è bello confrontarsi con altri gruppi e conoscere altre persone. Ci ascolta un po’ ogni tipo di gente da quel che ho visto fin’ora. Ai nostri concerti ci sono ragazzine neo emo punk come cacchio si dice, fighetti da bar, kids della vecchia scuola, uomini in giacca e cravatta, cheerleaders (una volta anche una ragazza che dava i voti a voce alta a fine di ogni pezzo), signori di mezz’età, bimbi, skaters, Sandro Gioriello, punkabbestia, folkabbestia.. l’unica che ancora non ci ha ascoltato e non lo farà mai è mia madre credo.
Peter: Mia madre l'ha sentito il disco.. dall'espressione non mi sembrava del tutto convinta, ma sì, via, credo le sia piaciuto... credo.
Capra: Quando fai un pezzo non è che precisamente pensi a chi lo ascolterà. Ti concentri sul fare qualcosa che ti gasi, che un po' ti faccia godere. Creare qualcosa dal niente. Oltre al godimento, suonare porta con sé anche questo risvolto creazionista, questa crescita di entropia che una nuova canzone, un nuovo concerto, inevitabilmente procura alla biosfera. Quando siamo in prova, la nostra musica provoca un godimento solo nella cerchia ristretta dei Penguins. Voglio dire: se ti masturbi, la cosa ha un senso esclusivamente per te. Ma se ti masturba un altro, l’azione acquista un senso doppio. È come il quadro che un pittore tiene in cantina. Voglio dire: se ad un concerto, o all’ascolto del disco il godimento diventa epidemico, e contagia qualcun altro, allora anche la musica ha più senso, perché ha un senso allargato. E pertanto anche il suonare, a quel punto, acquista più significato. E ti dà più significato il farlo. (power-Romina subito non l’avevo capita… mi sa che l’adottiamo.)

Sempre rileggendo la recensione di Stefanel ho trovato un commento che copio pari pari: “aoh rigà sto gruppo è na merda...nartro gruppo che se sta ad attaccà a gruppi famosi come settlefish e giardinò de totò..oh ma non bastava er capellaccio topo gigio dei tape mixer? oh poi er nome poco copiato da penguin cafe orchestra...mazza manco un nome originale..pure er primo gruppo de pippo franco se chiamava "i pinguini"...me fate piscià dar culo..”. Ma l’avete scritto voi no?
Capra: Credo l'abbia scritto mio zio, che vive in Lussemburgo, quello che fa due lavori, e nel tempo libero legge Balzac e si diverte a vituperarci.
Sollo: …no lo ha scritto Carlaccio; chi in questi anni ha seguito le polemiche su My Awesome Mixtape ne saprà qualcosa credo eheh! Comunque si è tipo Amici (tutto truccato).
Peter: Fanno ridere i romani, penso lo pubblicherò sul nostro blog come recensione.

D'altronde in rete le critiche di questo tipo sono più che frequenti. Come reagite?
Sollo: Io male, molto male. Nel senso che lascio stare (tranne una volta che ho davvero esagerato contattando un diretto interessato svuotando il barile, come si suol dire); però insomma, sono sempre stato abituato a parlare con la gente, sia che si trattasse di una discussione su dischi che non mi piacessero, che di una marea di complimenti per un disco che ho adorato. Poi il discorso è sempre quello: le critiche sono ben accette, sulla musica. D’altronde non la farei nemmeno, se piacesse a tutti! Sono le critiche sul personale fatte tra gente che non si conosce, che sulla rete risultano facili e frequenti; e sarò sincero, su queste faccio fatica a passare su. Ma d’altronde fa tutto parte del gioco, e se queste sono le piccole cose spiacevoli le accetto, anche centuplicate, pur di suonare e fare i miei dischi.
Capra: Di fronte a critiche del genere credo sia meglio soprassedere. Se anche Schopenhauer definì Hegel come un "gran cialtrone", noi che dovremmo dire? Sticazzi.

E il vostro rapporto con la stampa musicale?
Capra: Ovviamente è un rapporto sessuale.
Sollo: Quindi direi ottimo, tranne che con quelle recensioni che finiscono con “teneteli d’occhio” eheh!
Peter: Una nuova recensione è come ricevere una lettera: le parole scritte per te o su di te sono sempre la lettura più interessante, buone o cattive che siano.

Di cosa parlano i vostri testi?
Capra: Uno parla di un tizio che ha perso una valigia e ora ha bisogno di un nuovo alfabeto; un altro parla di un tizio che vede il proprio montgomery sul letto e non capisce più se per caso non si sia sdoppiato, come nei racconti del fantastico ottocentesco dove alcuni personaggi non erano più in grado di padroneggiare una propria mano; un altro parla del bowling; un altro ancora di un tizio che conosce tutte le abitudini di questa ragazza e sa esattamente come farla ridere ma non ricorda il suo nome. Robe così. Altre volte invece puntiamo alla responsabilizzazione dell’ascoltatore. Per esempio: durante un concerto distribuiamo dei cartoncini viola recanti ognuno una parola. Poi disponiamo il pubblico a cerchi concentrici e, partendo dal più esterno fino al più interno, raccogliamo in quell’ordine i cartoncini. Quello è un testo. Altre volte mentre chiacchieriamo con qualcuno ci si interrompe e la prima parola che uno dice diventa un testo. Questa risposta diventerà sicuramente un testo. Probabilmente anche la prossima domanda diventerà un testo.

Perchè i pinguini?
Capra: Personalmente perché il pinguino maschio cova le uova, e quando cova non mangia e nel tempo libero legge Balzac; poi perché i pinguini sono uccelli che hanno le ali che in realtà sono dei moncherini, e questa castrazione, questo bipede impacciato, questo essere incapace di realizzarsi diventerà il simbolo dell'umanità perdente di fronte alla storia, e noi saremo lì per raccontarlo.

Molte le vostre collaborazioni/esperienze extra. Capra e Sollo come detto hanno collaborato al primo disco dei My Awesome Mixtape e relativo tour; Sollo poi è fonico da cinque anni con Giardino di Mirò, oltre alle esperienze dietro le quinte di gruppi come Disco Drive, Julie’s Harcuit e Settlefish. Alcuni dei nomi più importanti della scena italiana vi ruotano per un motivo o per l’altro intorno. Avete già dovuto fare i conti con la solita invidia generale?
Capra: Invidia del pene, intendi?
Sollo: Per quello che mi riguarda tutto ok. Tutte le persone che ho conosciuto spero mi abbiano apprezzato per quello che sono e che faccio, non per le conoscenze che ho. Certo queste conoscenze ci hanno aiutato, ma a livello personale direi. Sai, fare i suoni ai Giardini ti porta ad avere nuove idee ed esigenze verso i suoni del tuo gruppo, rivedi tutto in un'altra ottica (e rompi di più i coglioni essendo il fonico della band). Ascoltare la 8 coni da basso di Paul dei Settlefish durante un concerto ti porta a modificare e ad avere più pretese sui propri suoni ad esempio. Farsi una giornata con i Julie’s o i Disco Drive ti rende felice, sono adorabili. Insomma le conoscenze servono per migliorare la propria vita e perché no il proprio gruppo, ma non credo influiscano sul resto; in fondo se fai musica di merda la fai anche se sei il miglior amico di Rob Crow o Tom Yorke.

Numerose le collaborazioni nell’album. Quali amici hanno partecipato a “The name is not the named”?
Sollo: Jonathan Clancy che ha scritto e cantato in “Harsh Realm”, e che ringraziamo per il costante supporto. I fratelli Torreggiani (Emilio e Paolo, rispettivamente nei Settlefish e nei My Awesome Mixtaper, Ndr) perchè sono amici di vecchia data e avevamo sempre parlato di questo fatidico featuring. Giulio degli Anna Karina (anche se avremmo voluto fare un pezzo con tutti gli Anna Karina per ovvie ragioni), scelto anche perchè è un correggese DOC come noi e perché si ritrova spesso a filosofeggiare con Capra. Bruno (Germano, dei Settlefish, Ndr) perchè in studio non siamo riusciti a non sfruttarlo.

Siete emiliani. Cosa vuol dire per un pinguino vivere nella nebbia nebbiosa di Correggio? Da quelle parti che aria di musica tira ultimamente?
Capra: La nebbia è tremenda. Infatti mi sono trasferito in montagna, vicino a Zocca. Però a Correggio l’aria musicale è buona. Ci sono gruppi di amici che suonano, tra cui mi piace ricordare i Valerian Swing, con cui dividiamo la sala prove, che sono il frutto maturo del metal correggese. Poi c’è un gruppo di ragazzi che ha fatto un gran bel libro, “Correggio Mon Amour”, che racconta la storia delle storie del rock a Correggio dagli albori ai Gazebo Penguins. E poi è venuto fuori questo circolo splendido dal nome meno splendido, I Vizi del Pellicano, dove i regaz organizzano palate di concerti e fanno mangiare i gruppi in piatti di ceramica. A Zocca invece, per dire, nada de nada.
Sollo: Io ti posso rispondere per quanto riguarda Correggio. Vivere si vive anche abbastanza bene. Ci siamo creati i nostri spazi, ne stanno nascendo di nuovi, la gente inizia ad aver voglia di muoversi nonostante la nebbia (metaforica o meno che sia). Abbiamo creato l’i-Gloo Collective, e da lì la gente ha preso spunto per creare altre cose, sono nate numerose amicizie e collaborazioni tra gruppi che magari prima si conoscevano solo di vista. Certo ai concerti siamo sempre gli stessi quattro gatti, però si inizia a stare meglio tra di noi forse.
Peter: Abito in centro storico, e ho suonato la batteria per anni in solaio a casa mia senza alcun tipo di insonorizzazzione.. si sentiva in tutto il quartiere, mai ricevuto una lamentela! Correggio spacca.

Per l’appunto l’ i-Gloo, questa cosa che avete organizzato, dove ospitate gruppi nella vostra sala prove facendoli esibire gratuitamente per un pubblico, limitato e gratuito. Spiegateci meglio.
Capra: L'i-Gloo è nato perché volevamo creare dei piccoli eventi, in formato domestico, per un pubblico molto motivato. Tutto questo basandoci su una triplice esigenza: offrire la massima libertà ai gruppi (fare pezzi nuovi, fare le prove, suonare sull’erba, suonare senza batterista, con due batteristi, a volumi improponibili, e quant’altro); offrire del buon cibo (specialità locali come l’“erbazzone”, alimenti biologici o solidali, cucinati con zelo, amore e maestria); uscire dalla logica del denaro. A fare l’i-Gloo nessuno ci guadagna niente. E senza il denaro certe cose diventano improvvisamente splendide.
Sollo: L’i-Gloo per l’appunto è nato dall’esigenza di avere un ritrovo nella nebbia. Nel corso degli anni abbiamo migliorato la nostra sala prove (una vecchia stalla in un casolare di campagna) e quando abbiamo messo giù l’ultima tavola del pavimento in legno ci siamo detti: “ora concerti”. E così è stato. Alla gente piace venire a suonare per mangiare e bere bene, per stare in compagnia e per avere il pubblico a 20 cm dalla propria faccia. Anche se ci si sta in 80 stretti stretti, è come se fossimo in un locale da 500 persone. È DIY, possiamo dirlo, un gran esempio di DIY. Ma speriamo che da cosa nasca cosa, speriamo di dare la voglia ad altri ragazzi di provare a fare cose contro la logica attuale del mercato che, da come si vede, non ci porta molto lontano.

Nuovo disco, nuovo tour. Ne avete mai fatti all’estero? E quanto pensate che nella musica sia utile realizzare un’esperienza lontani da casa?
Capra: Credo che un tour all’estero sia utile, più che per i Penguins, per le centinaia di migliaia di fans dei Penguins sparse in Europa, per permetter loro di vedere un nostro concerto senza dover venire in Italia.
Sollo: Con i Penguins no; per quel che mi riguarda ho suonato all’estero più volte e conta. Conta però come può contare il concerto al pub sotto casa. Conta quanto farsi 3 o 4 ore di prove in saletta. Sono dell’opinione che nel fare musica tutto faccia brodo. Anche un concerto nel quale dopo due pezzi ti si rompono due corde può essere utile. Si impara a cambiarle in fretta se non altro! Per adesso stiamo cercando di organizzare qualcosa all’estero con gli amici Hell Demonio: siamo tutti un po' dei lentoni ma dovremmo farcela, speriamo!
Peter: Penso sarebbe una delle vacanze più belle della mia vita!

Mai pensato a vivere fuori dall’Italia?
Capra: Basta traslochi per un po’.
Sollo: Sì, spesso. Quasi sempre. Poi però c’è la voglia di costruire qualcosa qua. Noi ci abbiamo provato anche con l’i-Gloo Collective e speriamo di esserci in parte riusciti, ma il lavoro è ancora lunghissimo. Forse è anche questo voler provare a tutti i costi a creare qualcosa, che per ora non ci ha fatto ancora emigrare… E come noi molti altri musicisti credo.
Peter: Sì, per vivere in ambienti musicali più attivi; ma anche qui mi diverto parecchio.

Il nome del vostro ultimo lavoro prende spunto da una citazione del conte polacco Korzybski, che scriveva: “La mappa non è il territorio, il nome non è la cosa designata dal nome, la descrizione non è la cosa descritta”. Ora, immagino dovrei domandarvi qualcosa tipo una spiegazione sul significato di questa citazione. E invece vi chiedo, chi cazzo è il conte Korzybski?
Sollo: Capra è dottore magistrale in lettere, lascio a lui che quando lo racconta la bimba si addormenta subito (e anche sua moglie credo).
Capra: Korzybski era un pelato.
Peter: È il tipo della mamma di Capra.

Stando alle parole del suddetto conte il riferimento ad un oggetto non è quell’oggetto. Per tanto serve una traduzione tra il riferimento e l’oggetto nella mente. Cioè: il reale non è realmente enunciabile. Dunque il disco dei Gazebo Penguins non è dei Gazebo Penguins. E se il disco dei Gazebo Penguins non è realmente dei Gazebo Penguins, a chi sto ascoltando? Con chi sto parlando? Perchè stiamo perdendo tempo?
Peter: …ma infatti! Manco ci conosciamo…
Sollo: …non la ridurrei ad un essere o non essere, però è sempre bello perdere tempo così.
Capra:  Ascoltare i Gazebo Penguins non è mai una perdita di tempo. Intervistarli forse sì… Certo è che tu, per il sottoscritto, caro Alex, non sei altro che una rappresentazione. E io sono una rappresentazione per chi ci legge ora. Ciò che ci esiste davanti ora, è reale. Tutto il resto è rappresentazione. Internet è pura rappresentazione, la quintessenza della rappresentazione. Nulla esiste davvero, sul web. Questa confusione di classi di oggetti, di classi di realtà, nella maggior parte dei casi non percepita - e nemmeno sospettata - non fa bene al cervello; e neanche all’intestino. Sembra una tautologia dire che “il nome non è la cosa nominata dal nome”, ma a calare l’assunto nelle 24 ore ci si accorge che un sacco di volte in una giornata la realtà è stata trascesa, e la rappresentazione intesa per realtà. Ma questa rischia di diventare una descrizione troppo dettagliata, e si sa, la descrizione non è la cosa descritta. E nel frattempo mia figlia si è addormentata, mia moglie idem, e non è che pure io sia tanto lucido… per tanto, besos.


 Alex Urso

Cultura e Spettacoli

Interviste

 Articolo letto 3335 volte. il 08 May 2009 alle 23:02
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