2006-09-25 - Che il tempo scorra implacabile e senza tregua come spietato stillicidio di secondi che sono minuti e ancora anni di vita, è considerazione nota e risaputa. Domandarsi come questo possa essere impregnato nella nostra memoria e come l’individuo reagisca di fronte al passato, è invece spesso dibattito di storici e filosofi, motivati da un tempo presente annientato e precipitosamente sacrificato al domani.
Proprio ora mi chiedo se l’uomo sia frutto del passato, o frutto del presente.
Tiro in gioco le considerazioni di Nietzsche: “l’uomo non potrà mai imparare a dimenticare , non potrà mai fare a meno di essere attaccato alla storia”. La penso come opinione vera, condivisibile. I centocinquant’anni che mi separano dalle affermazioni del tedesco non sono però incolore. Un secolo evolve, e questo secolo passato non è stata forse la dichiarazione più veritiera di un uomo che della storia e degli errori che a chiazze la imbrattano ne faccia virtù.
Il legame col passato mi chiedo se non sia solo un semplice gioco di numeri e calendari o una lunga catena di sensazioni ed insegnamenti che ci accompagni, oggi.
Non riesco a pensare in modo drastico una mia generazione sbadata ed “eternamente presente”, ma pure condivido le osservazioni dello storico Hobsbawm, convinto di una gioventù cresciuta in un “permanente oggi, nel quale manca ogni rapporto organico con il passato”.
Ciò che penso è che se l’uomo non sia frutto del presente, vero è che inevitabilmente questo lo condiziona, lo costruisce, distraendolo spesso, più o meno volutamente, dalla storia. È una considerazione azzardata; l’uomo non potrà in fondo mai lasciarsi alle spalle secoli e ricordi, ma averli in mente come un puzzle astratto e sbiadito, non è lo stesso che conoscerli come una foto in bianco e nero su cui imparare a tracciare la strada migliore per i giorni a venire.
“Siamo nani che camminano sulle spalle dei giganti” (Spinelli ne “Il sonno della memoria”): più volte da questi siamo caduti, rialzandoci ancora e ripercorrendo sempre lo stesso giro. Conoscere la mappa di quei giganti, semplicemente significherebbe non ricadere da quelle spalle al giro seguente.