Sì alla legge umbra contro il mobbing
La questione di legittimità era stata sollevata dal presidente del Consiglio (Corte costituzionale 238/2006) Non è incostituzionale la legge della Regione Umbria che contrasta il mobbing sui luoghi di lavoro. La Consulta, con la sentenza 238 depositata il 22 giugno, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Umbria 28 febbraio 2005 n. 18 (Tutela della salute psico-fisica della persona sul luogo di lavoro e contrasto dei fenomeni di mobbing), sollevata, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettere g) ed l), e terzo comma, e all’art. 118, primo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe. La legge, dunque, resta qual è e potrebbe diventare un punto di riferimento per leggi analoghe.(23 giugno 2006) SENTENZA N. 238 ANNO 2006 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: - Annibale MARINI Presidente - Franco BILE Giudice - Giovanni Maria FLICK " - Francesco AMIRANTE " - Ugo DE SIERVO " - Romano VACCARELLA " - Paolo MADDALENA " - Alfio FINOCCHIARO " - Alfonso QUARANTA " - Franco GALLO " - Luigi MAZZELLA " - Gaetano SILVESTRI " - Sabino CASSESE " - Maria Rita SAULLE " - Giuseppe TESAURO " ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Umbria 28 febbraio 2005, n. 18 (Tutela della salute psico-fisica della persona sul luogo di lavoro e contrasto dei fenomeni di mobbing), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 16 maggio 2005, depositato in cancelleria il 24 maggio 2005 ed iscritto al n. 65 del registro ricorsi 2005. Visto l'atto di costituzione della Regione Umbria; udito nell'udienza pubblica del 2 maggio 2006 il Giudice relatore Francesco Amirante; uditi l'avvocato dello Stato Giuseppe Nucaro per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Fabrizio Figorilli per la Regione Umbria. Ritenuto in fatto 1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri ha sollevato, in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettere g) ed l), e terzo comma, e all'art. 118, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'intero testo della legge della Regione Umbria 28 febbraio 2005, n. 18 (Tutela della salute psico-fisica della persona sul luogo di lavoro e contrasto dei fenomeni di mobbing). In particolare, l'art. 1 – che “tenta” di definire il mobbing con l'espressione «molestie morali, persecuzioni e violenze psicologiche sui luoghi di lavoro» – conterrebbe una definizione talmente vaga ed inadeguata da determinare una normativa che rimette ad organi amministrativi il compito e il potere di integrare sostanzialmente il disposto legislativo, anzi di sostituirsi al legislatore nazionale. L'art. 5 estende l'ambito del mobbing ai familiari del lavoratore ed affida alla Giunta regionale una competenza a stabilire, mediante deliberazione a contenuto sostanzialmente regolamentare, «criteri e modalità» per la concessione di incentivi alla realizzazione di «supporti e terapie» senza specificare ad opera di quale organismo. Inoltre gli artt. 2, 4, 6, 7 e 8 della legge in esame prevedono strutture amministrative tratteggiandone «in modo molto elastico» le funzioni ed i compiti. L'art. 8, comma 1, prevede come obbligatorie le ispezioni all'interno dei luoghi di lavoro e, quindi, l'accesso coattivo in tali luoghi, la ricerca e l'esame di documenti, l'audizione di persone ad opera di addetti, di imprecisato livello (o qualifica) e stato giuridico, al Servizio di prevenzione e sicurezza. In sintesi, la legge in esame non individuerebbe (e quindi non delimiterebbe) l'ambito dell'intervento della Regione e la tipologia dei «luoghi di lavoro», rendendo in tal modo possibili ingerenze (non soltanto della Regione ma anche di altre organizzazioni) nei rapporti di lavoro pubblico statale, ad esempio presso un tribunale od un ufficio territoriale del Governo, con invasione delle competenze di cui all'art. 117, secondo comma, lettera g), Cost. Nel complesso – ad avviso del ricorrente – la legge impugnata omette di considerare la pluralità degli interessi generali (anche privati) compresenti e la necessità di reperire un equilibrio tra loro, crea uno strumento pervasivo e di non garantita neutralità per interventi nei rapporti contrattuali di lavoro e nelle attività imprenditoriali e delle pubbliche amministrazioni ed infine introduce una disciplina «territorialmente differenziata» in assenza di principi fondamentali unificanti. La censurata normativa sarebbe perciò in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettere g) ed l), e con l'art. 118, primo comma, Cost. Circa il denunciato contrasto con la riserva allo Stato della produzione legislativa in materia di ordinamento civile, nel ricorso si osserva che la legge in esame inciderebbe sui rapporti civilistici interpersonali, non soltanto di lavoro e di impresa, anche in modo imprevedibile e non definirebbe le tipologie dei «fenomeni» considerati, i quali sono destinati a tramutarsi in fattispecie di illecito contrattuale. La legge sarebbe inoltre in contrasto con l'art. 117, terzo comma, Cost. (tutela della salute, tutela e sicurezza del lavoro), non essendo ricollegata a «principi fondamentali» posti dal Parlamento nazionale, al quale è riservato il compito di definire il cosiddetto mobbing. 2.— Si è costituita in giudizio la Regione Umbria, affermando anzitutto che la legge in argomento non contiene alcuna definizione del mobbing; l'art. 1, infatti, recita: «[...] in attuazione degli articoli 1, 2, 3, 4, 32 e 41 della Costituzione italiana, nel rispetto della normativa statale vigente e dell'ordinamento comunitario», e così riconosce, tra le finalità della Regione, il compito di promuovere «azioni ed iniziative volte a prevenire e contrastare l'insorgenza e la diffusione di fenomeni di molestie morali, persecuzioni e violenze psicologiche sui luoghi di lavoro, di seguito denominate mobbing». L'intento sarebbe quello di favorire iniziative attraverso le quali contenere l'insorgenza di fenomeni che da tempo, pur in assenza di una legge quadro specifica, la normativa interna e quella comunitaria qualificano come sintomi di attività riconducibile al mobbing, come dimostrato dal successivo art. 2 della legge regionale, secondo cui «... la Regione promuove, in collaborazione con le parti sociali interessate, con l'Osservatorio regionale sul mobbing di cui all'art. 7 e con le strutture sociosanitarie locali, azioni di prevenzione, formazione, informazione, ricerca ed assistenza medico-legale e psicologica». Il ricorso sarebbe, quindi, inammissibile per genericità dei motivi e contraddittorietà, posto che, dopo avere attribuito alla Regione Umbria una volontà definitoria del tutto insussistente, eccepisce nel contempo una, non meglio identificata, vaghezza ed inadeguatezza nei confronti delle medesime disposizioni impugnate, da cui viene fatta derivare un'indebita sostituzione degli organi amministrativi regionali nei compiti esclusivamente riservati allo Stato. Non sarebbero poi fondate le censure relative all'assenza di una precisa indicazione della tipologia dei luoghi di lavoro, con il paventato effetto di possibili ingerenze nei rapporti di lavoro pubblico statale ad opera del legislatore regionale. Parimenti senza fondamento sarebbe tale asserito sconfinamento del legislatore regionale, con conseguente presunta mancanza di neutralità, «per interventi nei rapporti contrattuali di lavoro e nelle attività imprenditoriali e delle pubbliche amministrazioni», e con introduzione di «una disciplina territorialmente differenziata in assenza di principi fondamentali unificanti» . Infatti, la materia andrebbe ricondotta, anziché alle lettere g) ed l) dell'art. 117, secondo comma, Cost., in quelle della “tutela e sicurezza del lavoro”, nonché della “tutela della salute”, cui la prima necessariamente si ricollega, dando luogo, pertanto, ad un caso di potestà legislativa concorrente, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., con la conseguenza della ammissibilità di uno spazio all'interno del quale le Regioni sono ammesse a legiferare, a condizione che tale intervento non vada a sovrapporsi o ad invadere gli ambiti già delineati con i principi e le singole disposizioni di rango statale e/o comunitario; condizione del tutto assicurata nella specie. Sarebbe chiaro l'intento del legislatore regionale di predisporre adeguate «misure di sostegno idonee a studiare il fenomeno in tutti i suoi profili e a prevenirlo o limitarlo nelle sue conseguenze». Né sarebbe possibile rinvenire – nelle azioni di prevenzione, formazione, informazione, ricerca ed assistenza medico-legale di cui all'art. 2 – alcun elemento in grado di introdurre spunti di novità rispetto ai criteri indicati da questa Corte quali parametri di compatibilità costituzionale dell'intervento regionale nella materia qui presa in considerazione. 3.— Nell'imminenza dell'udienza, fissata per la discussione, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria in cui osserva come, nelle sue difese, la Regione Umbria non abbia affrontato la compatibilità delle «azioni ed iniziative» di cui all'art. 1 della legge impugnata con la disciplina civilistica – di indubbia competenza esclusiva statale – dei rapporti di lavoro e con quella “di diritto amministrativo” dei rapporti di pubblico impiego statale non contrattualizzato, essa pure di competenza esclusiva statale secondo il disposto dell'art. 117, secondo comma, lettera g), Cost.; né la Regione si sarebbe soffermata sul cruciale art. 8, comma 1, della legge, al quale si connettono sia l'art. 7, comma 4, lettera c) – ove sono previsti protocolli di intesa tra gli organismi di vigilanza e, secondo il ricorrente, l'assessore regionale presidente dell'Osservatorio sul mobbing – sia l'art. 6, lettera c). A parere dell'Avvocatura, le tre disposizioni citate consentono di organizzare una struttura di polizia alle dipendenze del «potere esecutivo» della Regione, attivata dagli sportelli istituiti «presso gli uffici comunali di cittadinanza». La Regione non si è limitata a porre in essere «azioni di formazione» (art. 3), «azioni di informazione e ricerca» (art. 4) e «azioni di assistenza medico-legale e psicologica» (art. 5), cioè a monitorare e studiare il fenomeno e ad assisterne le vittime, ma al contrario, si è attribuita un penetrante potere di ispezione, ossia di accesso sul luogo di lavoro privato o persino pubblico-statale, di acquisizione di documenti, di interpello di possibili futuri testimoni, di redazione di processi verbali, etc.; un potere, questo, che duplica similari poteri della giurisdizione e di apparati investigativi statali e che interferisce sia nelle attività imprenditoriali sia nelle attività delle amministrazioni pubbliche dello Stato o facenti capo ad esso. Ritiene il ricorrente che il nucleo della legge in esame sia costituito non dai citati artt. 3, 4 e 5, ma dall'art. 8, comma 1, e dai connessi artt. 6, lettera c), e 7, comma 4, lettera e), e conclude, quindi, insistendo per la richiesta declaratoria di illegittimità costituzionale quanto meno di queste ultime norme. 4.— Anche la Regione Umbria ha depositato una memoria, sottolineando anzitutto come la questione sia del tutto simile a quella risolta dalla recente sentenza di questa Corte n. 22 del 2006, con la quale è stata esaminata un'analoga legge della Regione Abruzzo, e ribadendo quindi che la legge impugnata tende unicamente a prevenire e a contrastare l'insorgenza e la diffusione del mobbing, senza con ciò dettare una disciplina compiuta del medesimo sul piano giuslavoristico. Del resto, il richiamo espresso alla disciplina interna e comunitaria sarebbe di per sé dirimente in ordine ai dubbi ed alle perplessità manifestate nell'atto introduttivo. Il legislatore umbro, quindi, astenendosi dal fornire non solo una definizione generale del fenomeno in oggetto, ma anche esemplificazioni di per sé idonee ad operare la paventata sostituzione nei confronti della potestà normativa statale, ha circoscritto il proprio intervento a disciplinare misure di sostegno per i lavoratori che subiscono le conseguenze negative discendenti dal verificarsi del fenomeno stesso, come definito dalla normativa nazionale e comunitaria. Infatti, ai sensi dell'art. 2, i compiti della Regione vengono individuati nella promozione di azioni di «prevenzione, formazione, informazione, ricerca ed assistenza medico-legale», in collaborazione con le parti sociali interessate, con l'Osservatorio regionale sul mobbing di cui al successivo art. 7 e con le strutture socio-sanitarie. Parimenti i successivi artt. 3, 4, 5 e 6 regolano espressamente la tipologia di azioni con cui vengono concretamente svolte prevenzione, formazione, informazione, ricerca ed assistenza medico-legale previste dal richiamato art. 2. Infine, del tutto infondata risulterebbe la doglianza volta a censurare la disposizione che parrebbe realizzare indebite interferenze in merito alla gestione dei rapporti di lavoro con amministrazioni statali, sulla scorta delle precisazioni fornite dalla citata sentenza n. 22 del 2006, allorché la domanda proposta dalla Presidenza del Consiglio dei ministri è stata rigettata, chiarendo come «dall'eventuale duplicazione di procedure che la legge regionale introdurrebbe rispetto a quanto previsto dalla contrattazione collettiva», non è dato ricavare l'invasione di competenza lamentata da controparte. Considerato in diritto 1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato, in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettere g) ed l), e terzo comma, e all'art. 118, primo comma, della Costituzione, la legge della Regione Umbria 28 febbraio 2005, n. 18 (Tutela della salute psico-fisica della persona sul luogo di lavoro e contrasto dei fenomeni di mobbing), perché, da un lato, essa lederebbe la competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento civile nonché di ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali e, dall'altro, non si limiterebbe a formulare disposizioni di dettaglio nelle materie della tutela della salute e della tutela e sicurezza del lavoro, entrambe di competenza legislativa concorrente. L'Avvocatura dello Stato, inoltre, a conforto delle proprie tesi richiama la sentenza di questa Corte n. 359 del 2003, con la quale fu dichiarata l'illegittimità costituzionale della legge della Regione Lazio 11 luglio 2002, n. 16 (Disposizioni per prevenire e contrastare il fenomeno del mobbing nei luoghi di lavoro). Il ricorrente censura come “vaga e inadeguata” l'espressione «molestie morali, persecuzioni e violenze psicologiche sui luoghi di lavoro», con la quale la legge regionale definisce il fenomeno del mobbing e sostiene che ulteriori precisazioni vengono così rimesse a successivi atti amministrativi, da emettere anche da parte di organismi che la legge stessa istituisce, quali l'Osservatorio regionale e gli sportelli anti-mobbing. Il Presidente del Consiglio dei ministri si duole che a tali organismi sia affidato il compito di effettuare ispezioni sui luoghi di lavoro senza alcuna limitazione sulla appartenenza di questi e sulla loro natura; ispezioni destinate a sfociare nel possibile accertamento di fattispecie di illecito contrattuale. 2.— In via preliminare, si rileva l'ammissibilità del ricorso ancorché concerna un'intera legge, in quanto, come già ritenuto in casi analoghi (sentenza n. 359 del 2003 e sentenze ivi citate, nonché sentenza n. 22 del 2006), l'omogeneità della normativa in esame consente di individuare i limiti dello scrutinio richiesto. 3.— Nel merito, il ricorso non è fondato. Il richiamo alla sentenza n. 359 del 2003 non giova al ricorrente, perché la legge della Regione Lazio dichiarata illegittima con quella sentenza era sostanzialmente diversa dalla legge della Regione Umbria, oggetto del presente scrutinio. Con la sentenza citata questa Corte – dopo aver premesso che il mobbing, unitariamente considerato dalle scienze sociali, ma privo di una specifica disciplina statale, è fenomeno complesso avente una pluralità di aspetti, alcuni dei quali ricondotti dai giudici comuni sotto le previsioni dell'art. 2087 del codice civile – rilevò che esso, con riguardo alla condotta degli autori degli atti vessatori e dei rapporti tra datore di lavoro e lavoratori, concerne anche l'ordinamento civile, mentre per i profili riguardanti le conseguenze patologiche sulla vittima di per sé considerate attiene alla tutela della salute e alla tutela e sicurezza del lavoro. La definizione del mobbing contenuta nella legge ne riguardava tutti i profili e la Regione Lazio rendeva manifesto il proposito di intervenire «nelle more dell'emanazione di una disciplina organica dello Stato in materia». La constatazione che la legge regionale, fondata su un'autonoma definizione del complesso fenomeno sociale, lo disciplinava in molteplici suoi aspetti rientranti in competenze dello Stato, fu alla base della dichiarazione di illegittimità costituzionale. La legge della Regione Umbria oggetto del presente ricorso presenta, invece, elementi di analogia – come fa rilevare lo stesso ricorrente – con la legge della Regione Abruzzo 11 agosto 2004 n. 26 (Intervento della Regione Abruzzo per contrastare e prevenire il fenomeno mobbing e lo stress psico-sociale sui luoghi di lavoro), passata indenne attraverso lo scrutinio di costituzionalità (sentenza n. 22 del 2006). Anche nel caso ora in esame la normativa censurata non formula una definizione del mobbing con valenza generale, ma ha riguardo soltanto ad alcuni suoi aspetti già oggetto di valutazione in fattispecie sottoposte al vaglio di giudici comuni. Inoltre, secondo l'art. 1 della legge in argomento, le azioni di prevenzione e contrasto del mobbing, finalizzate a tutelare l'integrità psico-fisica della persona sul luogo di lavoro, sono promosse dalla Regione «nel rispetto della normativa statale vigente e dell'ordinamento comunitario». Tale formula può risolversi in un'affermazione meramente assertiva e di stile, inefficace al fine di escludere possibili contrasti con le normative di cui si postula il rispetto; ma, ove in concreto non si riscontrino disposizioni che tale contrasto determinano, come nella legge impugnata, essa fornisce un criterio interpretativo utile al positivo scrutinio di legittimità costituzionale. Se poi, come questa Corte ha già affermato, l'inesistenza di una definizione generale dovesse condurre la Regione all'emanazione di atti amministrativi esorbitanti dalle proprie competenze o, comunque, contrastanti con parametri costituzionali, per la repressione di tali fenomeni l'ordinamento appronta gli opportuni rimedi di giustizia costituzionale e comune. Quest'ultimo rilievo vale anche a motivare l'infondatezza delle censure concernenti la genericità delle previsioni della legge riguardo alle ispezioni sui luoghi di lavoro ed al conseguente accertamento di ipotesi di mobbing. L'impugnato art. 8 della legge regionale, relativo a tali ispezioni, riguarda infatti l'attività di controllo del Servizio di prevenzione e sicurezza del lavoro, collocandone i compiti «nell'ambito della sua attività istituzionale». Quest'ultima si inserisce nella più ampia attività dei dipartimenti di prevenzione (di cui fa parte il Servizio), i quali sono strutture operative delle ASL, poste a garanzia della salute collettiva ed operanti secondo linee coordinate ed integrate con le Regioni (in base al disposto dell'art. 7-quinquies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502). Si deve, infatti, più in generale ribadire, anche al di fuori del controllo incidentale di costituzionalità, la validità del principio secondo il quale una disposizione di legge non può essere ritenuta costituzionalmente illegittima soltanto perché tra le varie opzioni interpretative e applicative se ne possa ipotizzare qualcuna lesiva di norme costituzionali. In conclusione, per la impugnata legge della Regione Umbria può dirsi ciò che si è ritenuto riguardo alla suindicata legge della Regione Abruzzo, e cioè che «essa non ha oltrepassato i limiti della competenza che già questa Corte ha riconosciuto alle Regioni quando ha affermato che esse possono intervenire con propri atti normativi anche con misure di sostegno idonee a studiare il fenomeno in tutti i suoi profili ed a prevenirlo o limitarlo nelle sue conseguenze». per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Umbria 28 febbraio 2005 n. 18 (Tutela della salute psico-fisica della persona sul luogo di lavoro e contrasto dei fenomeni di mobbing), sollevata, in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettere g) ed l), e terzo comma, e all'art. 118, primo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso indicato in epigrafe. Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2006. F.to: Annibale MARINI, Presidente Francesco AMIRANTE, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 22 giugno 2006. Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
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