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Bob Dylan, 18.04.09 (© Il Popolo del Blues) |
Bob Dylan @ Mandela Forum, Firenze – 18.04.09
Ernesto de Pascale, storica voce di Rai Stereonotte, ma anche critico per le testate Rolling Stone e Jam, nonché ideatore di www.ilpopolodelblues.com, ci ha fatto dono di questo articolo sul concerto fiorentino di Bob Dylan.
Nel caso di Dylan siamo tutti consapevoli che è difficile non esprimersi in termini retorici: quel che ha detto e fatto è conosciuto e il suo rigoroso silenzio ha dato ai contenuti ancora più valore. Nonostante il Never Ending Tour di Bob Dylan abbia ormai più di 30 anni, lo spettacolo portato in Italia e appena visto a Firenze assume di volta in volta una connotazione sempre più personale e organica. Quest’ultima versione aggiornata, riveduta e corretta, ci pare ancora una volta, migliore della precedente. Il concerto propone l’alto valore aggiunto di una presenza umana - la sua - che si manifesta con il minimo rumore scenico. Quando si accendono le luci Dylan è lì, a destra guardando il palco, dietro a un organo che riproduce sonorità beat e tex mex e che suona con una certa competenza, che canta in piedi. Dylan è lì nel mezzo del palco che canta e suona l’armonica alla maniera dei menestrelli folk o oppure pensando a Little Walter. Dylan è lì, finalmente nel centro del palco, con la chitarra elettrica a tracollo a suonare un blues forte e vigoroso nel mischione globale del suo proprio sound. Questo e solo questo è lo spettacolo dei sei uomini in nero che alla fine salutano con un mesto inchinano e se ne vanno impilati come egizi guidati da lui in testa, His Bobness. Detta così potrebbe essere un concerto qualunque e per Bob Dylan è lecito pensare che lo sia se si chiama - non a caso - Never Ending Tour. Per quelle migliaia che continuano ad accorrere, e sempre maggiore è il numero dei giovani presenti, è invece qualcosa di diverso, di più profondo. Si ha la sensazione infatti che Dylan sia lì, a piccolissima distanza da noi, per indicarci la soluzione alle domande assolute, totali, segrete del vivere (“l’esperienza catartica” come la definì dal Palco del Live Aid Jack Nicholson nello spettacolo di Firenze si è manifestata per questo recensore nella conclusiva Blowin’ In The Wind). Questo sensazione dura un attimo. Immediatamente a seguire si ha infatti una immediatamente opposta: che la famosa risposta non la conosceremo davvero mai. Certo l’amara constatazione è alleviata da brani straordinari - i più recenti sono un unico mix di blues, old style country genteel, rock solido ma non intrusivo e molto molto groove lasciato andare sul modello della Rolling Thunder Revue - ma pur sempre una constatazione agrodolce, sul mistero della vita e dell’amore, non lontana dai suoi migliori toni vocali, dalle sue impennate strascicate o dal nuovo ritrovato sillabare. Esci consapevole ed appagato, magari conscio di aver partecipato per un attimo al film della sua vita, quella di Bob Dylan che intanto è già ripartito per chissà dove.
Setlist: Maggie's Farm / Mr. Tambourine Man / Most Likely You Go Your Way (And I'll Go Mine) / Man In The Long Black Coat / Rollin' And Tumblin' / The Lonesome Death Of Hattie Carroll / 'Til I Fell In Love With You / Workingman's Blues #2 / Highway 61 Revisited / Ballad Of Hollis Brown / Po' Boy / Summer Days / Return To Me / Thunder On The Mountain / Like A Rolling Stone // All Along The Watchtower / Spirit On The Water / Blowin' In The Wind
Ernesto de Pascale
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Redazione
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il 20 Apr 2009 alle 12:34 |
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