Due birre non bastano per Un Viaggio d’Amore
di Urso Alex 20 gennaio 2008 Teatro Mercantini di Ripatransone Sensi Piceni – Percorsi di Scena ‘08 UN VIAGGIO D’AMORE – di e con Michele Placido Devo ancora smaltire le strane sensazioni avute da questa serata. E due birre a tracanna non servono come alleviante. Cos’è che ancora guardiamo? Com’è che cazzo ancora oggi ci accontentiamo di questo? Una poesia spirata come su ceneri mortuarie. Per dire “ti amo” smorzi parole ogni sei secondi, con il pathos più accademico che sta scuola teatrale italiana si trascina dietro come fosse sempre la notte dei tempi. Non cambiamo mai, e non cambiano i nostri gusti, se ancora la folla applaude come se a recitare fosse la Madonna. Perché non ci accorgiamo di come non funzioni così? Ho strane sensazioni, e due birre non mi bastano. Sono fuoriluogo io forse, questo si, ma non mi sento un Bukowski né un cazzo di beat controtempo. Io sono io. La gente alla fila entra e s’ammassa con nomi strani, che portano amicizie strane, accrediti strani, e scroccano il posto come meglio si può, e vogliono rosicare pure l’osso del gratuito. La Troupe del Calzino ne porta cinque per un articoletto in terz’ultima pagina, il tale altro Quotidiano ‘X’ giusto tre. E passano in fila come verso una disneyland, a godersi il pasto gratuito belli agli occhi del popolino che si fa largo per farli passare vip. E le prime file sono piene di gente che della cravatta ne fa un’attitudine, e dell’onestà un optional mica necessario per vivere. E applaudono quando entra Michele Placido. Ma è solo un nome, eppure loro sborrano ancor prima che questo inizi. E io sussurro: ma perché cazzo? E poi inizia. Tre soggetti seduti: uno con una chitarra, una donna con un foular e l’aria accademica che manco fosse Eleonora Duse, e poi lo stesso Placido. Teatro da seduti? Personalmente trovo queste nuove forme di intrattenimento teatrale ridicole. Il teatro della parola. E basta? Recitare poesia e basta? Far diventare tutto un grande leggio solo per la nostra svogliatezza ad aprire una pagina di libro per cazzi nostri? Si, perchè è facile e costa poco, quindi che ben vada se nessuno se lamenta. E poco conta che il messaggio cantato per l’80% si perda tra scrocchi di patatine e colpi di tosse e telefonino, l’importante è dire d’aver cantato poesia, che sia rosicata o meno, che sia data ai porci o meno.E i tre iniziano a professare. Poesia. Dopo pochi minuti io ho già il fastidio che si forma. Parlano come fossero divini in recita nel colossal dei templari. Hanno gli occhiali, ed il loro pathos è vecchio cent’anni; eppure io pensavo che questa forma di fare poesia orale fosse passata. E io dopo mezz’ora non posso più. E tra ogni pezzo e l’altro intervalli discorsivi: sulla monnezza di Napoli, su Leopardi, sulle Marche che sono belle e bla bla bla. Ma io non pago dieci euro per ascoltare uno che seduto intrattiene una specie di discorso forzato su argomenti da bar. E dico ‘forzato’ perché è strano che lui dica: «sapete, questa mattina mentre camminavo nel vostro paese e vedevo le vostre pietre cariche di storia pensavo a Leopardi, e a quando parlava con Silvia». E trac, attacca con Silvia; eppure il suo copione è vecchio di una tournee, ché mica si scrittura in una mattinata. Silvia –tre secondi- rimembri – tre secondi – ancor – cinque secondi, e poi tutta n’a tirata – quegli attimi ridenti e fuggitivi onde cotanto – tre secondi – ragionammo – tre secondi – insieme? Ma sembra che piaccia, si, perché applaudono. Allora io vedo ancora dall’alto queste teste bianche, la troupe del Calzino in prima fila che ride e parlicchia con l’aristocrazia politica di sta cazzo di mafia. Io sono fuoriluogo. E esco. Bevo due birre. Ma non bastano. Il tipo del banchetto che stacca i biglietti mi dice senza permesso: «già uscito?». E io dico che mi fa schifo, proprio lo dico, ma senza la presunzione (se sapeva leggere gli occhi miei), e mimo come un idiota la poesia che ha l’intervallo di cinque secondi a parola come se fosse omelia. E lui ride. Lo sa forse che così è brutto il teatro. O semplicemente la risata è a dirmi come un altro con il cervello fottuto che non riesce a stare dietro a tutto questo.
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