di Barbara Poli
Ecco un altro esempio di tv spazzatura: l’opinionista. Cosa è diventata questa figura tanto rispettata in passato? Chi sono tutti questi finti parlanti che saltando da un programma all’altro dispensano le proprie critiche? Che cosa hanno più di noi per esprimere un giudizio omnicomprensivo? Niente, ma sanno far bene i prezzemolini, innalzandosi a demiurghi. Però sono stati furbi: in tempi di crisi, hanno trasformato la loro inoccupazione in un nuovo fenomeno televisivo...
In principio era un giornalista, esperto di fatti relativi a costume, società, politica, che occasionalmente esprimeva il proprio parere con trafiletti su giornali nazionali. Oggi il suo ruolo è totalmente cambiato, e si è esteso a tutti coloro che esprimono il proprio parere come ospiti fissi in trasmissioni televisive o radiofoniche, senza riguardo alla professione esercitata, o alle competenze sulle materie e gli argomenti. Stiamo parlando dell’opinionista, nuova professione in voga fra i disoccupati televisivi, nella cui cerchia possiamo annoverare molti “ex- gieffini”, ex veline, ex sportivi, ex tronisti, ex isolani e chi più ne ha più ne metta.
Il termine opinionista è un neologismo, coniato dall'unione di opinione (derivante a sua volta da opinare, dal verbo latino ŏpīnāri) e -ista, suffisso derivante dal greco ed indicante colui che ha una particolare competenza in una certa dottrina. Uno dei più importanti opinionisti della vecchia scuola è stato Enzo Biagi, che oltre ad essere giornalista per testate come La Stampa o La Repubblica, nell’89 cominciò a esporre le proprie opinioni super partes nel Corriere della Sera. Tra i vari nomi di opinionisti famosi spiccano, poi, quelli di Alberto Cavallari, Erri De Luca e Serra Michele
Tuttavia, da diversi anni l’opinionista ha cambiato collocazione: il suo mezzo di espressione non è più il giornale, ma tutto ciò che interessa il popolo di massa e che è più facilmente fruibile dal pubblico giovanile. In particolare, le piazze dei dibattiti e delle opinioni contrastanti sono diventati i talk show e i reality, dove si realizza ogni volta la tattica televisiva del “tutto contro tutti”, in cui l’arbitro della situazione è il presentatore, che generalmente ha esclusivamente il compito di fomentare i dibattiti, spettacolarizzando anche la cosa più seria che si possa dire. E l’opinionista è il jolly della situazione, e più è cinico, sprezzante, malizioso e arrogante e meglio è. Insomma, si tratta di un personaggio eclettico e scaltro, capace di agitare gli animi o di incontrare il parere della massa che lo ascolta, che partecipa a programmi televisivi di vario tipo solo per esprimere il proprio punto di vista sugli argomenti più disparati. Insomma, l’opinionista è un tuttologo: lo vedi a “domenica in” a parlare dei reality show, poi al lunedì al programma sportivo a discutere di fuorigioco e di moviola, poi al talk show a spiegarci la politica e così via…E anche le statistiche parlano chiaro. L’indagine a cura del Centro studi televisivi Sitcom parla chiaro: il 28% degli intervistati sogna di apparire in tv nel ruolo di opinionista, scende al 24% la percentuale di coloro che aspirano a diventare tronista a Uomini e Donne o, per le donne, a diventare velina, paperetta, passa parolina, o tutto ciò che riguardi ballare poco vestite in qualche programma tv. Dati che dovrebbero far riflettere (o inorridire ?!), ma evidentemente al pubblico piace molto l’idea di criticare platealmente l’operato altrui magari in modo aggressivo causando litigi in diretta come va tanto di moda ultimamente. Non a caso i nuovi beniamini dei telespettatori sono diventati personaggi tv come Vittorio Sgarbi, Alfonso Signorini, Raffaello Tonon e Alessandro Rostagno, che si districano tra i vari palinsesti commentando senza peli sulla lingua tutto ciò che gli viene chiesto. Ma la loro autorevolezza da dove arriva? Nella maggior parte dei casi non si tratta che di falliti nel proprio mestiere, come suggeriva Alberto Arbasino, e il fatto che trovano modo di esprimersi e abbiano anche un certo seguito rientra nella logica delle televisioni commerciali. Ma che, addirittura, siano presi come fonti autorevoli da altri esperti è il colmo.
Forse è il caso di tornare un po’ tutti a fare il proprio lavoro, a criticare meno, a pensare ognuno ai propri scheletri, a evitare di fare della bontà corrotta, a prendersi la responsabilità dei propri fallimenti e a non sfruttarli per ricavarci soldi. Vanna Marchi docet.