Diffidenti come siamo nell’accogliere le diversità di una società sempre più multietnica e variegata, alleniamo questi anni duemila a quotidiani episodi di xenofobia e paura del ‘diverso’, fenomeni tristi alimentati senza falsa retorica da episodi che, seppur isolati, compromettono una nostra totale apertura verso lo ‘straniero’. Sorvolando su quanto di più riciclato il tema possa proporre (dalla politica (dis)attiva alla psudo-sociologia televisiva), arriviamo ad un punto cruciale purtroppo sempre troppo sottovalutato eppure alla base di ogni relazione multietnica: conoscere la cultura che dietro ogni individuo si nasconde, il carico di esperienze secolari nato prima di ogni dato anagrafico, prima di ogni etichetta che troppo superficialmente semplifica patrimoni antropologici. E mentre il nostro interesse verso le popolazioni dell’estrema Asia diviene più o meno consapevolmente una moda (resta da chiederci quanto sincera), a pagare le dirette conseguenze dei nostri comportamenti restrittivi sono soprattutto le vicine popolazioni della regione balcanica, assolutamente affascinanti ma quanto mai assecondate per quotidiane vicende interne che ci spingono ad una chiusura totale (ma non si generalizzi!) verso albanesi, rom e stirpi slave in genere, atteggiamenti che, giustificati o meno, oscurano il volto culturale di realtà nascoste alla nostra conoscenza con troppa facilità.
A proporre la questione è un libro, curato da Francesca Innocenzi per la collana romana Edizioni Progetto Cultura 2003 S.r.l., dal titolo Versi dal silenzio, concepito quale inedita antologia di poeti Rom.
INTERVISTA ALL’AUTRICE
Come nasce l’idea di una raccolta poetica dedicata alla cultura Rom?
L’idea di un’antologia di poeti Rom nasce da un autentico interesse per la cultura di questo popolo e, nel contempo, da una passione letteraria vissuta in maniera spregiudicata, come occasione di rivelamento di realtà altre, senza schematismi né chiusure preventive.
Quanto conosciamo e quanto ancora c’è da conoscere sulla realtà Rom o balcanica in genere?
La tradizione millenaria della gente delle carovane è stata, nel corso dei secoli, costantemente misconosciuta; nonostante gli indubbi progressi compiuti negli ultimi decenni, il patrimonio culturale romanì rimane per lo più circoscritto ad un ambito ristretto, mentre manca un’informazione seria e approfondita in circuiti più ampi.
Cosa si prefigge l’antologia?
L’augurio è che la ricchezza archetipica della poesia e la sua intrinseca capacità evocativa costituiscano il primo passo per sconfiggere stereotipi e resistenze creando le premesse per un incontro tra Rom e gagé (i non Rom). La valorizzazione di una tradizione artistica nei suoi vari generi può tradursi nel riconoscimento di identità troppo a lungo negate: la letteratura Rom non nasce dalla richiesta di applausi ed elogi, ma dalle ineliminabili sfaccettature di una cultura che esige di essere, oggi più che mai, conosciuta.
Una poesia in particolare tra le tante dell’opera?
“Olocausto dimenticato”, della scrittrice Rom Paula Schos. (Segue)
OLOCAUSTO DIMENTICATO
Silenzio, desolazione, oscura notte
il cielo è cupo, pesante di silenzio!
Aleggia nell’aria la nenia della morte!
Da queste pietre, grigie pietre,
da ogni rovina, dalle cornici infrante,
esala disperazione di sangue e lacrime.
Il mio spirito s’impiglia nel filospinato
e la mia anima s’aggrappa alle sbarre,
prigioniera in casa mia!
Chi sono? Nessuno! Chi sei? Nessuno!
Voi Sinti chi siete? Nessuno! Solo ombre,
nebbia! Nebbia che per abitudine è rimasta
prigioniera della più grande infamia
della storia dell’uomo!