di Lucio Garofalo
Caro Silvio/Walter (*),
mi permetto di usare lo stesso tono amichevole e affettuoso adoperato nella missiva pre-elettorale che hai recentemente spedito al mio recapito personale. Pertanto, mi consentirai di rivolgermi a te in modo confidenziale, dandoti del tu.
Ovviamente, ti ringrazio per aver pensato (anche) al sottoscritto, malgrado ciò avvenga solo nelle (pur frequenti) circostanze pre-elettorali.
Io sto bene, spero altrettanto per te e la tua famiglia.
Ti rispondo per comunicarti benevolmente la convinzione che ho maturato in merito alle prossime (s)elezioni politiche nazionali. Ho deciso di appoggiarti con il mio voto (a perdere) per le ragioni che proverò a spiegarti brevemente.
Anzitutto, ho molto apprezzato la “intrepida” scelta di “correre da solo” (benché apparentato con le varie “compagnie comiche” di Fede/Vespa, Di Pietro/Bossi/Fini, anch’essi perfettamente intercambiabili tra loro), attraversando in lungo e in largo la nostra penisola (e le isole?). Altro che giro d’Italia in bicicletta di prodiana memoria!
Francamente mi sono preoccupato per le condizioni della tua cagionevole salute, non vorrei che ti fossi affaticato per lo sforzo sostenuto negli ultimi tempi, data l’età anagrafica non più tanto giovane. Ma noto che sei in perfetta forma, gagliardo, resistente e battagliero come sempre, in grado di sopportare la tensione nervosa, affrontando con impeto lo stress logorante dell’ennesima, difficile campagna elettorale.
Una competizione elettorale che a me è parsa, a dire il vero, piuttosto fiacca e soporifera, una sorta di efficacissimo narcotico di massa: il nuovo “oppio dei popoli”...
Comunque, ti confesso che sono un “veltrusconiano” convinto della prima ora, sin dai tempi della Prima Repubblica, quella del famigerato C.A.F., quando il “veltrusconismo” ante litteram era appannaggio esclusivo della vecchia Democrazia Cristiana di Giulio (non Tremonti, ma Andreotti) e degli altri “amici, compari e picciotti”. All’epoca ricordo che si chiamava “consociativismo”, ma sempre “inciuci e affari” erano.
Non ti nascondo la mia gioia e il mio stupore quando ho ricevuto la tua lettera tanto affabile e garbata. Proprio non me l’aspettavo. Sono rimasto sorpreso da un gesto così affettatamente gentile e compiacente. Restituisco volentieri la cortesia, per cui ho deciso di offrirti il mio voto (a perdere). Un voto (in)utile ma necessario a far risorgere la nostra scalcagnata Repubblica dalle macerie spirituali in cui è sprofondata.
Affido cordialmente a te la mia procura morale, consegno nelle tue mani il mio prezioso investimento per l’avvenire, con la speranza di vederti trionfare e regnare per i prossimi lustri. Per mantenere tutte le promesse e gli impegni sbandierati ai quattro venti. Per elargire favori a clientele, clan, cosche, consorterie e comitati d’affari (vostri).
Io sono un cittadino della sventurata e martoriata Campania. Sommersa dalla spazzatura, dal fango e dal disonore. Tra le altre cose, prometti di “liberare Napoli e la Campania dalla montagna di rifiuti sotto la quale” sono sepolte.
Le accuse sono reciproche e perfettamente sovrapponibili e intercambiabili. Così pure le promesse e i programmi elettorali. Che si senta davvero il tanfo di un “grande inciucio”?
Rimetto ai posteri la (nemmeno tanto) ardua sentenza.
Con stima e affetto sinceri, Lucio Garofalo
(*) Tanto i due sono intercambiabili tra loro.