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“It’s about to tell” (Riff Records 2008)

Esordienti all’americana: i bolognesi Phidge si raccontano

«why do I always need to know the end before the start?»

Dodi Germano, Fedro, Nick Di Virgilio e Simone Cavina sono i musicisti che si celano dietro la sigla Phidge, nome che sta iniziando a circolare negli ambienti indie, vista la fresca pubblicazione dell’album d’esordio “It’s all about to tell”. Composto da dieci tracce originali, registrate la scorsa primavera ai Vacuum Studios di Bologna, “It’s all about to tell” propone un rock semplice che non rinuncia a cercare soluzioni sempre gradevoli nell’intrecciarsi delle voci e delle chitarre di Dodi e Fedro e nell’accompagnamento impeccabile della sezione ritmica. Un sound quello dei Phidge che rimanda al rock a stelle & strisce senza lasciar mai trasparire un riferimento preciso ma che riesce invece a confondere le coordinate di brano in brano. Un sound convincente sia che aggredisca con giocose dosi di rumore e velocità (nelle iniziali Dawning Disaster e O-Ren Ishii) sia che si faccia più riflessivo (come nella suggestiva The Bloke). E poi c’è un brano come Sparrows On A Wrong Day che, se ci spostassimo Oltreoceano con l’immaginazione, potrebbe essere suonato dai Band Of Horses.

Da dove vengono i Phidge? E come sono arrivati fin qui?
Abbiamo iniziato a suonare insieme nel 2003 con due sole certezze: non volevamo fare cover e eravamo pronti a dare tutto quello che avevamo nel tentativo di fare la musica migliore che potessimo. È ancora lo spirito con cui andiamo in sala, in studio e sul palco. Poi è ovvio che non ti viene sempre fuori Sgt. Pepper, però di certo non ci risparmiamo mai. A gennaio dell’anno scorso abbiamo deciso di entrare ai Vacuum Studios e di lavorare assieme a Bruno Germano al nostro primo album. Nel frattempo abbiamo stretto i contatti coi ragazzi della Riff Records di Bolzano e abbiamo iniziato una collaborazione che ci ha portati a pubblicare per loro il nostro album.
“It’s all about to tell” è il vostro album d’esordio: soddisfatti del risultato?
Oddio, non so quanto potremo essere obiettivi nel rispondere ad una domanda del genere! Però sì, decisamente! Poi, oh, de gustibus… però secondo noi è proprio un bell’album… è un disco che saremmo felici di ascoltare, anche se non fosse nostro. E, dato che noi lo abbiamo vissuto anche da dentro, cogliamo l’occasione per ringraziare tutti quelli che ci hanno lavorato assieme a noi, da Bruno a Carl di Chicago, passando per il preziosissimo Maestro Elia Penna e Jonathan dei Settlefish: il loro aiuto ha triplicato il valore del disco.
Che 2008 vi aspettate?
E che ne sappiamo?! Possiamo solo dirti che speriamo con tutto il cuore che “It’s all about to tell” venga sentito da più gente possibile e che faremo di tutto per ottenere questo risultato.
Promuoverete ”It’s all about to tell” con un’intensa attività live?
Voi chiamate e noi arriviamo! Tenete d’occhio il nostro sito e il nostro myspace (www.phidgeband.com, www.myspace.com/phidge).
Qual è, secondo voi, il più grande pregio del rock chitarra-basso-batteria? E quale il più grande limite?
Sicuramente è una formula che, grazie alla sua immediatezza, può arrivare molto in fretta e colpire nel segno. Limiti in sé non ce ne sono. L’unico limite è considerare gli strumenti come dei confini… tipo “siamo un gruppo chitarra-basso-batteria, quindi se ci viene da fare un pezzo in cui starebbe da Dio un piano non glielo mettiamo perché tradiremmo la formula”. Ecco questa sarebbe una cazzata, ma non è colpa della formazione. È colpa di chi si mette dei paletti in testa senza che ce ne sia motivo. Se ci venissero dei pezzi con lo xilofono e il kazoo e ci piacessero da morire, stai pur certo che li suoneremmo con xilofono e kazoo.
L’artwork del disco punta su un immaginario giocoso e fanciullesco. Da cosa deriva questa scelta?
Tuono Pettinato, l’illustratore toscano che si è occupato dell’artwork, lavora con noi da anni. Lui si è inventato l’omino che siede sulle nuvole del nostro disco. L’abbiamo battezzato “Franco”. Il clima dell’artwork non è che voglia essere fanciullesco. È più un modo di rappresentare l’approccio che abbiamo alla nostra musica: un totale coinvolgimento emozionale unito a una grande ricerca di sincerità, serenità e voglia di vivere. Che detto così sembra solo una puttanata… e, in effetti, a parole, suona malissimo. Per questo in copertina ci abbiamo messo il disegno di Tuono. Lui riesce dove le nostre parole da poeti dei poveretti falliscono.
Il vostro modo di suonare rimanda ad ascolti prettamente anglosassoni. Ci sono però delle band italiane che ammirate in modo particolare e che avete preso come esempio?
Ci sono tante band italiane che ammiriamo, ma, in modo consapevole, non cerchiamo di rifarci a nessuno in particolare. Poi, ovviamente, sappiamo benissimo che non si inventa mai nulla. O quasi. Cerchiamo di tenere a mente le lezioni dei tanti grandissimi, prevalentemente inglesi è vero, che abbiamo ascoltato e che ascoltiamo, ma il nostro intento è quello di cercare di scopiazzare il meno possibile… a volte ci si riesce, altre meno, che ci vuoi fare…
Una curiosità: siete quasi tutti laureati o sbaglio?
Dodi è un avvocato, Simon uno storico, Nick un agronomo e Fedro un… come si chiamano i laureati in lettere moderne? Ah, già, disoccupati.

 Pierluigi Lucadei

Interviste

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