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Lee Chang-dong, è nato a Daegu (Corea del Sud) il 1 aprile 1954

Un maestro “normale”: intervista a Lee Chang-dong

di Pierluigi Lucadei

In Europa non ha finora conosciuto lo stesso successo commerciale dei connazionali Park Chan-wook e Kim Ki-duk, ma Lee Chang-dong – con appena quattro lungometraggi all’attivo – può nondimeno essere considerato uno dei maggiori cineasti contemporanei. La ragione sta nella profonda analisi dell’animo umano, dei suoi moti più piccoli ma allo stesso tempo pesanti e sconvolgenti se contestualizzati nella Storia, rappresentati senza mai cedere al melodramma né all’autocompiacimento. Il suo film del 1999, “Peppermint Candy”, ripercorre a ritroso gli ultimi vent’anni di Storia della Corea del Sud e non a torto viene considerato pietra angolare del nuovo cinema coreano. Col suo terzo film, “Oasis”, pluripremiato a Venezia 2002, racconta una delle storie d’amore più belle ed estreme mai viste sul grande schermo.
A Lee Chang-dong il Korea Film Fest di Firenze ha dedicato quest’anno una retrospettiva. Nell’occasione gli abbiamo rivolto alcune domande sul suo modo di vedere il cinema, con riferimento al film più recente, “Secret Sunshine”, presentato in concorso a Cannes 2007 e ivi premiato per la straordinaria interpretazione della protagonista Jeon Do-yeon.

Come mai in “Secret Sunshine” per la prima volta non ha usato una sceneggiatura originale?
E’ vero, precedentemente avevo lavorato sempre con sceneggiature originali scritte da me. Stavolta invece mi sono basato su un romanzo preesistente e molto semplicemente ne ho seguito l’intreccio e, senza stravolgerlo, vi ho introdotto cose nuove. Tutto comunque nasce sempre dalla mia esperienza, da ciò che io vivo e ho vissuto.

Il titolo “Secret Sunshine”, in coreano “Miryang”, fa riferimento alla città in cui il film è ambientato. Come mai è andato così lontano da Seul e dal contesto urbano tipico di molti film coreani?
La città del film è nel sud della Corea, ad un’ora dalla mia città natale. E’ una città molto normale, una città qualsiasi. E’ davvero una città che non si distingue, è questo che mi ha incuriosito. E poi quel nome così speciale per una città tanto normale mi ha incuriosito ancora di più. Certamente è diversissima da Seul.

Qual è il dramma che vuole rappresentare in “Secret Sunshine”?
Quello che “Secret Sunshine” dovrebbe comunicare è che ognuno di noi può subire un dolore terribile e il più delle volte non è una cosa preventivabile ma può cambiare la nostra vita. Una persona che soffre come la protagonista del film, che, ripeto, è una persona qualsiasi e potrebbe essere ognuno di noi, può chiedere aiuto anche molto lontano, in questo caso a Dio. La protagonista sembra averne bisogno per continuare a sperare, per continuare a vivere. Io credo che questo desiderio di andare avanti debba nascere da qui, dalla nostra stessa vita, anche quando questa ci sembra niente, è qui che dobbiamo trovarlo. Se poi qualcuno riesce a trovare questa speranza lontano, per me è un mistero, ma visto che queste persone ci sono nella realtà, ho voluto mostrarle nel film.

Cosa c’è all’inizio di ogni suo progetto artistico?

Quando inizia un progetto, non c’è per forza, sempre, qualcosa di particolare o di speciale. La scintilla che è all’inizio di un nuovo progetto può essere anche qualcosa di molto piccolo. Io non faccio film su persone speciali. Faccio film invece su persone normali, comuni, che però sanno essere nello stesso tempo speciali, perché ognuno di noi è speciale. Spero che ognuno dei miei personaggi riesca a comunicare al pubblico che guarda il film ciò che ha di speciale.


Filmografia:
Secret Sunshine (Miryang), 2007
Oasis (Oasiseu), 2002
Peppermint Candy (Baghasatang), 1999
Green Fish (Chologmulgogi), 1997


 Pierluigi Lucadei

Interviste

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