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Mio fratello è figlio unico, locandina

“Mio fratello è figlio unico” di Daniele Luchetti

Allora, chi non crede in questo cinema italiano? Io, ma questa volta… vedi vedi che il film è riuscito e vale quella cencia di quasi partecipazione a Cannés (a proposito, Zidane non è in giuria, e dunque un motivo alla nostra assenza ci dovrà pure essere). Finalmente non troppi sentimentalismi, non lucchetti d’amore, non una trama che dai e dai và sempre a sbattere la testa su precoci adolescenti in vena di domande esistenziali o imprese sdolcinate all’ultimo palpito. E finalmente non la zeppa del Muccino, finalmente. Altro che le gratuite etichette ai vari bellocci con i quali mai si arriverà ad un sacrosanto ritorno italiano; con Elio Germani si fa sul serio, che basta gli si chieda e il cinema nostrano se lo porta in cioccio e lo fa arrivare lontano quanto basta per tirarlo fuori dalla pozza collosa in cui da anni preferisce alla gran lunga guadagnare.
Il film è ambientato nella Latina degli anni ’60 dove, in una famiglia molto modesta, due fratelli crescono a suon di ideali e slogan politici contrapposti. Gioia e miseria tra loro vengono però condivisi al di là dei loro pensieri politici, come a dire che le leggi del cuore e della carne stanno sempre al di sopra di ogni benedetta ideologia. Vicende si snodano negli anni, nei quali pure i loro colori di bandiera cambiano senso e significato, anche sullo sfondo di una realtà storica allo sbando e appena sfiorata dal film, con la delusione operaia, i congressi del PCI o le immagini in bianco e nero che trasmettono in rete i movimenti del ’68. È dunque politica che entra e non; sono le persone, più che altro, sono loro ad interessare, loro a fare il mondo con sorrisisi e sofferenze, con le loro incertezze ed il loro essere così creduloni di fronte l’illusione di un cambiamento, che smaschera paure ma pur sempre voglia di crederci e lottare, ancora.

I dettagli si toccano con mano (e con camera a mano) sui volti freschi degli attori: appunto Germani, ovvero Accio, nella semplificazione assoluta il fascista (almeno all’inizio), e lo Scamarcio, Manrico, il comunista, che con i sui occhi verdi ed il suo timbro vocale varrà per le ragazzine già solo il costo del biglietto, ma che se fossi cieco bene potresti scambiarlo con lo stesso timbro di Tre metri sopra il cielo, L’uomo perfetto e compagnia. Seguono la Finocchiaro, madre dei due fratelli, e Zingaretti, fedelissimo al Duce, e che introduce Accio al mondo delle tessere tricolore, quelle del partito.

 È un bel film, che merita sicuramente la promozione francese. Tratto dal Fasciocomunista di Antonio Pennacchi, ma sceneggiato ottimamente dallo stesso regista Luchetti, nel film gli eventi si sondano senza oltrepassare mai una soglia di pesantezza storiografica, senza prendersi insomma mai troppo sul serio in un contesto storico fin troppo riciclato. È, come detto, l’animo umano ad essere zoommato: nei tafferugli e nella voglia di cambiare, tra i manifesti e gli scontri verbali, è la persona come singolo individuo sbattuto tra gli antipodi di forze indifferenti, che altro non fanno se non metterti a nudo nelle debolezze e nella fragilità comune che ci rende uguali, oltre una bandiera.
Si ride, si riflette, si pensa: sicuramente il miglior film italiano del momento… ma era ora!

 Alex Urso

Recensioni

 Articolo letto 541 volte. il 26 Apr 2007 alle 18:19
 
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