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LA PEER EDUCATION

di Dott. Daniele Luciani*
 
L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce, nella Carta di Ottawa redatta nel novembre del 1986, la promozione della salute come quel "processo che consente alla gente di esercitare un maggiore controllo sulla propria salute e di migliorarla". In tal senso, il fine ultimo della sua attuazione è quello di influire positivamente sulla salute e sul benessere della persona (intesa come unità fisica, psichica e sociale), attraverso quel processo educativo che, mediante il coinvolgimento attivo e partecipativo del soggetto, produce cambiamenti concreti e reali.
All’interno di questa cornice è possibile introdurre la metodologia della peer education che, negli ultimi anni, si è diffusa piuttosto rapidamente a livello mondiale (da poco piu' di un decennio in Italia), e che molti autori ritengono possa essere in grado di raggiungere gli obiettivi di salute, soprattutto nella popolazione giovanile, molto più efficacemente dei vecchi mezzi informativi. La peer education, meglio nota in Italia come "educazione ai giovani fatta dai giovani", come "educazione tra pari" o più semplicemente come “peer”, punta a trasformare il soggetto (quasi sempre un adolescente), da passivo e disinformato rispetto ad uno specifico problema di salute in "soggetto d'esperienza" accrescendone la consapevolezza, la responsabilità, l'autonomia di pensiero e di orientamento. Quando si lavora con la peer si tratta di rendere il soggetto attivo, partecipativo o, come sostengono alcuni autori, "empowered", intendendo con questo termine quel processo che permette di "accrescere le capacità di controllare attivamente la propria vita" [1]. Per fare questo, la peer education utilizza la modificazione delle conoscenze, degli atteggiamenti e dei comportamenti attraverso la rete e la comunicazione tra coetanei. Infatti, alla base di questo modello educativo sussiste l'idea che gli stessi "fruitori" dell'intervento possano essere protagonisti principali dei progetti di promozione della salute: del proprio benessere psicofisico, relazionale e ambientale, a scuola e nel territorio.
Le definizioni che gli autori hanno tentato di dare per definire la “peer” sono innumerevoli e di diversa impostazione. Tra le tante citate in letteratura quella che, a mio avviso, chiarisce la complessità della metodologia è di Boda che la definisce come "un metodo educativo in base al quale alcuni membri di un gruppo vengono responsabilizzati, formati e reinseriti nel proprio gruppo di appartenenza per realizzare precise attività con i propri coetanei" [2].
Molto sinteticamente, è possibile affermare che la peer education consiste nella formazione di alcuni ragazzi (peer educators), rispetto a particolari tematiche d'interesse che dovranno essere in grado di trattare con il proprio gruppo di coetanei. In effetti, la maggior parte delle esperienze di peer education effettuate negli ultimi vent'anni sono state indirizzate ad un target giovanile, considerato come il più adatto (per via della sua particolare ricettività e sensibilità), a conseguire risultati migliori. Durante l'adolescenza, infatti, cambia la rete relazionale, diminuisce l’importanza del mondo adulto mentre cresce l’attenzione al gruppo dei coetanei. La formazione di un’identità propria viene ritagliata soprattutto attraverso il gruppo dei pari che costituisce una sorta di “laboratorio sociale” in cui il giovane si sperimenta, quotidianamente, in interazione con gli altri. Sebbene fino a qualche anno fa, la maggior parte degli autori sottolineava esclusivamente gli aspetti "disfunzionali" del gruppo dei coetanei, descrivendolo come capace di incidere sul comportamento del singolo in modo negativo, negli ultimi anni un discreto numero di studiosi lo hanno indicato come possibile "mediatore di psicosocialità". E lo hanno rivalutato considerandolo come un'importante risorsa capace di bilanciare i fattori di rischio presenti all'interno del nucleo familiare. Tra questi, Pietropolli Charmet ritiene che il gruppo rappresenti in adolescenza un luogo di esperienza affettiva cruciale per la costruzione del sé e che contribuisca in modo determinante a quel processo di individuazione che caratterizza la fase di crescita. Per usare le sue parole: "l'appartenenza al gruppo e la condivisione delle esperienze che vi vengono consumate o, al contrario, l'esclusione dalla fruizione di esperienze di gruppo, costituiscono non solo uno dei principali argomenti di discussione con gli adolescenti, ma sicuramente l'esperienza dotata di più elevato valore affettivo e di maggiore capacità di sostegno, o di esposizione a rischi, nella realizzazione dei compiti evolutivi" [3]. In questo senso, il gruppo dei pari si configura, a prescindere dalla tipologia e dalla struttura che lo caratterizzano, come uno degli strumenti attraverso i quali gli adolescenti realizzano la propria "nascita" sociale e mediano il proprio ingresso nel mondo degli adulti.
L'istituzione scolastica, dunque, fondamentale agenzia educativa e istituzione formativa, risulta essere l'ambiente privilegiato (e indispensabile), per attivare progetti innovativi che possano da una parte sostenere i ragazzi nel delicato passaggio dalla dimensione di dipendenza a quella dell’autonomia, dall'altra promuovere il benessere socio-relazionale dei ragazzi e la prevenzione di comportamenti a rischio.
Tra i tanti progetti innovativi sperimentati nel corso degli anni, la peer education è quello che si è meglio imposto al punto da diventare uno dei metodi più diffusi per la promozione della salute dei ragazzi e per la prevenzione dei comportamenti a rischio tra cui l'assunzione di sostanze stupefacenti, l'abuso di alcol e la trasmissione sessuale di malattie.
Malgrado la peer education persegua obiettivi a più livelli, quello prioritario consiste, come anticipato, nella formazione di alcuni ragazzi, i peer educators (educatori tra pari o anche opinion leaders), che hanno il compito di informare, influenzare, orientare e, lo si auspica, cambiare i comportamenti, gli atteggiamenti e le opinioni di un determinato gruppo sociale rispetto ad un problema di rilevante interesse. Il processo educativo è dunque incentrato sulla partecipazione dei giovani selezionati dal gruppo di riferimento (la classe scolastica, ad esempio), che, dopo essere stati formati, diventano "attori" e interpreti del processo stesso. Quest'ultimo prevede la reintroduzione dei ragazzi formati all'interno del gruppo di provenienza al fine di dare inizio al passaggio delle competenze, delle abilità e delle informazioni relative ad una particolare tematica in un processo "a cascata" che vede coinvolti tutti i membri del gruppo.
Quindi, le finalità generali della peer risultano essere quelle di aumentare le conoscenze sull'oggetto dell'intervento, prevenire i comportamenti a rischio e sottolineare la correlazione tra stili di vita e condizioni di disagio variamente vissute.
  La Promozione ed Educazione Alla Salute (PEAS) dell’Asur Marche ZT12 e 13 realizza, da diversi anni, progetti di peer education volti alla prevenzione dell’alcol, del tabacco e delle malattie a trasmissione sessuale all’interno degli Istituti Secondari di I e II grado.
Tali progetti, come da prassi, si articolano in una serie di fasi operative che, in maniera schematica, possono essere così riassunte:
1.      definizione del gruppo di lavoro con i vari soggetti coinvolti nel progetto (istituzione della rete di lavoro con la finalità di reperire i fondi, indirizzare le risorse umane e attivare il progetto);
2.      selezione dei peer educators (individuazione dei ragazzi da formare rispetto ad una determinata tematica all'interno del gruppo classe);
3.      formazione dei peer educators (corso di formazione inerente alle tematiche trattate e alle tecniche di comunicazione);
4.      intervento sul campo (reintroduzione dei peer educators nelle classi di appartenenza per condurre la lezione con i compagni rispetto agli argomenti trattati);
5.      monitoraggio (lavoro di coordinamento e risoluzione dei problemi);
6.      valutazione (attività di verifica degli obiettivi prefissati all'inizio del progetto e individuazione dei punti di forza e di debolezza).
Per una buona riuscita delle "operazioni" risultano fondamentali: il coinvolgimento attivo di tutti i partecipanti, la circolazione delle informazioni nel gruppo di lavoro (che precede l'intervento vero e proprio) e in quello dei coetanei, lo sviluppo personale dei peer educators e, ovviamente, la buona trasmissione delle conoscenze ai giovani da parte degli educators stessi.
Chiarita la definizione di peer education, definiti gli obiettivi ed elencate le sue fasi, resterebbe da trattare l'impianto teorico soggiacente alla metodologia. Questa operazione richiederebbe, tuttavia, un'attenzione che per motivi di spazio non è possibile dedicare in questa sede. Basti qui ricordare che, al di là della interessante provocazione di Turner e Sheperd per cui la peer sarebbe "un metodo in cerca di una teoria piuttosto che l'applicazione pratica di una teoria" [4], la base teorica che, a mio modo di vedere, supporta meglio tale metodologia è la teoria dei sistemi annessa agli studi sulla comunicazione. L'educazione tra pari, infatti, sfrutta le capacità comunicative dei giovani "formati" dagli esperti all'interno della relazione che essi stessi intrattengono con il gruppo di coetanei. Mi pare che, in questo senso, possa trattarsi di un metodo che agisce attraverso lo sviluppo della comunicazione e della relazione all'interno di un sistema ben definito: il gruppo dei pari.
 E se da un lato si configura come una metodologia di prevenzione/promozione della salute che vede protagonisti "i giovani per i giovani", dall'altro necessita di un "dietro le quinte" solido e funzionale che supporti le attività dei ragazzi. E' nel potenziamento di questo "sfondo" che si gioca, a mio modo di vedere, il futuro di questa metodologia.
 Di conseguenza, e questo vale per tutti gli interventi di peer education a prescindere dal target di riferimento, la fondamentale risorsa da sviluppare nei progetti futuri dovrebbe essere quella del capitale sociale soggiacente la progettazione degli interventi inteso come l'insieme delle istituzioni, delle norme sociali e delle reti di relazioni interpersonali che producono benessere.

* PEAS - DIPARTIMENTO DI PREVENZIONE ASUR MARCHE ZT13

1  J. Rappaport, In praise of paradox: a social policy of empowerment over prevention, in "American Journal of Community Psychology", n 9, 1981, pp. 1-26.
2 G. Boda, Life Skill e peer education: strategie per l'efficacia personale e collettiva, La Nuova Italia, Milano 2001.
3 G. Pietropolli Charmet, Strumenti per la nascita sociale, in F. Scaparro, G. Pietropolli Charmet (a cura di), "Belletà. Adolescenza temuta, adolescenza sognata", Torino, Boringhieri 1993.
4 G. Turner, J. Sheperd, A method in search of a teory: peer education and health promotion, in "Health Education Research", n 14, 1999, pp. 235-247.


 Redazione 

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