"M:I:III Mission Impossible III" di J. J. Abrams
Il fastidiosamente perfetto e sempre sorridente Tom Cruise torna a vestire per la terza volta ed esattamente a dieci anni dal primo episodio i panni dell’agente segreto Ethan Hunt, alle prese di nuovo con ordinarie missioni impossibili ed inseguimenti in preda all’adrenalina pura; ma se nel primo episodio Tom Cruise sfidava la forza di gravità appeso a dei fili nella pellicola diretta dal magistrale Brian De Palma e nel secondo diretto da John Woo la sfidava appeso irrealmente ad una parete rocciosa con la sola forza dei polpastrelli, nel terzo capitolo della saga con la new entry del regista televisivo J. J. Abrams, Hunt continua imperterrito la sue personale sfida correndo a perdifiato anche per i tetti della Cina. Con i capelli di nuovo corti, vestito con t shirt verde militare o nera che lo rende molto più simile al primo capitolo, l’agente Cruise si lancia in scene che diverranno sicuramente di culto per gli appassionati del genere: la serie infinita di esplosioni di auto in fiamme sul ponte all’inseguimento del cattivo Hoffman, le scene riprese per i tetti di Shangai e Xitang o quelle sul lungo Tevere. Abrams per non riproporre i clichès del mero film d’azione, si è impegnato a donare anche una vita privata ed uno spessore personale all’agente Cruise incentrando la propria attenzione e quella del pubblico sul personaggio stesso, volendo raccontare quello che ancora non era mai stato detto per presentare il vero Ethan Hunt, risultando un abilissimo narratore con una spiccata passione per descrivere la realtà, le sue storie ed i suoi intrecci. Tutto sembra andare alla perfezione in questo film, con dei protagonisti principali (completano il cast la bella Michelle Monaghan, il cattivo Philip Seymour Hoffman, Lawrence Fishburne e l’astro nascente Jonathan Rhys-Myers) perfetti in ruoli action ma capaci di donare il loro lato umano ed una sceneggiatura (seppur il film sia il terzo della saga) che risulta ancora credibile e godibile. Ma nonostante questo gli aspetti negativi a mio avviso prendono presto il sopravvento: il mondo ha davvero ancora bisogno del mito dell’unico grande eroe, dell’unico salvatore della patria, capace di lanciarsi da un grattacielo e vincere da solo cattivi a ripetizione dotati delle tecnologie d’avanguardia ma incapaci tuttavia di sconfiggerlo in lotte ai limiti del paradosso? Lo stesso Cruise, alla luce delle sue innumerevoli vicissitudini familiari e pseudo religiose, sembra aver perso buona parte del suo appeal per il pubblico cinematografico che lo aveva decretato l’unico ed incontrastato re di Hollywood. Così alla fine anche i limiti del regista risultano evidenti, con una trama ed uno stile forse meglio adattabili al suo piccolo schermo ed alle storie viste (ed ammirate) nei suoi successi Alias e Lost.
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