03/04/2009 - A volte mi chiedo perché in Italia (come altrove) la cosiddetta “meritocrazia” venga invocata solo nei riguardi dei lavoratori subordinati e dipendenti, che sono sempre più soggetti e vincolati a parametri di efficienza produttiva, vale a dire per costringerli a farsi sfruttare in modo crescente, mentre tali principi meritocratici non valgono e non vengono applicati nei confronti dei quadri e dei livelli padronali, ossia per i megadirigenti e i supermanager che percepiscono profitti e compensi abnormi a prescindere dal rendimento e dai risultati ottenuti. Si pensi, ad esempio, al caso dei dirigenti responsabili del fallimento dell’Alitalia o ad altri scandali e bancarotte indubbiamente eclatanti nella storia recente.
E’ evidente che un sistema economico che pretenda di essere meritocratico (solo a chiacchiere) non potrebbe conciliarsi con la realtà di un paese clamorosamente ingiusto e sperequato, eccezionalmente sprecone, corrotto e mafioso come l’Italia. Un assetto economico privo di ogni criterio di giustizia sociale e materiale, di democrazia economica e di equa redistribuzione del reddito nazionale, in cui si registrano comportamenti furbeschi, spregevoli e cialtroneschi e in cui si evidenzia il primato mondiale dell’evasione fiscale, in cui si pretende di imporre a lavoratori già fortemente precarizzati e sottosalariati uno standard di meritocrazia e di efficienza produttiva in senso unilaterale, rischia di degenerare in modo ineluttabile, provocando iniquità, divaricazioni e sperequazioni assolutamente crescenti e inaccettabili, scatenando contraddizioni sociali drammatiche ed esplosive. Specialmente in una fase storica segnata da una grave crisi economico-recessiva come quella attuale, una crisi che è di natura sistemica e strutturale, diffusa su scala globale.
Pensare (ingenuamente) di introdurre una concezione meritocratica in Italia, come dappertutto, equivale a compiere una vera rivoluzione sociale e materiale, etica e culturale.
Ritengo che proprio per adottare un regime di autentica meritocrazia sia necessario promuovere e sostenere una profonda trasformazione sia nell’assetto sociale che nella mentalità dominante, attuando un cambiamento radicale ed epocale sul versante economico-strutturale e politico-culturale.
In altri termini, la vera meritocrazia è possibile solo in una società formata da lavoratori liberi ed uguali, vale a dire in una società comunista: "una società dove ognuno produce secondo le sue possibilità e riceve secondo i suoi bisogni". Questo è un modello di società estremamente meritocratica, prima ancora che democratica… Dunque, l'antitesi tra comunismo e meritocrazia è solo apparente. Con buona pace (e scandalo) dei ciarlatani e dei farisei dell’ideologia filo-capitalista: mi riferisco ai falsi liberisti, ai finti fautori e apologeti del sistema meritocratico quali, ad esempio, Berlusconi, Tremonti, Tronchetti Provera & soci.
Lucio Garofalo