Il ritorno a teatro di Bergonzoni
Beh si sa quanto sia eclettico il teatro parlato e canzonato di Alessandro Bergonzoni. L’attore bolognese che fa capolino sulle parole, che collega il capo e la coda del discorso, senza né capo né coda. Quel mastino che mastica parole alla velocità dalla luce, metabolizzando e digerendo assiomi e aneddoti come nessun altro, è tornato sulla scena con un nuovo spettacolo intitolato Nel. Il suo teatro è unico, il suo stile è qualcosa di inspiegabile. Bergonzoni, per dar sfogo a quelle sue performance linguistiche a dir poco “bestiali” deve stare a teatro. Un habitat naturale perfetto dove assurdità e intellighenzia si uniscono, si smontano; e poi si applaude tutti assieme. E quanti applausi. Siamo in un affollato teatro romagnolo a Forlì. Bello vedere tanti giovani entrare a teatro e godere di un buon spettacolo al fianco di chi è cresciuto con Gassman o Tognazzi. Il paragone ovviamente non regge. Le commedie degli anni 60 erano ben diverse, ma la gente c’è. E tanta. Ed è piuttosto difficile vedere i teatri pieni, che ridono, che pensano all’unisono. Almeno ai giorni nostri. Ci vorrebbe forse un’intera puntata di Zelig, ma 20 attori contro uno, non è affatto un match regolare. E del resto Bergonzoni è ben altro.
Bergonzoni non parla di politica, non polemizza, e non lancia appelli al sistema italiano. Non invoca nessun personaggio famoso, oltre l’immaginario creato da se stesso. Si attiene ad una scaletta solitaria e astratta dall’attualità, e non fa altro che utilizzare un vocabolario astruso come fosse una fonte autorevole: parla di animali, oggetti, emozioni. Come un filosofo del popolo. Punto per punto analizza le follie che può produrre la lingua italiana, inventando parole prive di senso e legate tra loro da assonanze fonetiche. Il suo teatro travalica qualunque codice di riferimento semantico ma con una genesi esteriore della sintattica. Il termine semantica deriva da greco semantikos (significato) o da sema (segno). Ecco allora che nel teatro di Bergonzoni non c’è significato nel testo e nei contenuti, ma c’è una coerenza logica della lingua. E’ come dire cavallo per indicare gatto, o bello per indicare antipatico. All’interno di questa logica c’è coerenza, c’è una sintattica corretta. Ecco allora perché si intitola Nel: nel mentre, nel fare, nel momento, nel posto. Nell’interno di questo mondo si costruisce un “costrutto, cioè un distrutto”. Questo è Bergonzoni: “No è la negazione del nord, su è la parte altra del sud, es è essere come abbreviazione di est e ov’est significa dov’è?”.A parte il virgolettato preso dal suo spettacolo, Bergonzoni è anche altro. E’ in grado di parafrasare un periodo in questo modo (esempio inventato) “ perché, per-cani, per favore amore lascia stare il cane, leggi Kant e vai a Cannes”.
A volte l’assurdità di Bergonzoni non fa ridere, ma è comunque geniale. E’ la velocità con cui recita, che è da Guinness. Sul palco si presenta solo, un monologo. Né sfondo teatrale, né comparse, né musiche: un telo nero sullo sfondo e 4 oggetti geometrici coperti da lenzuoli bianchi. Può ricordare la scena di un delitto, tra i flash dei fotografi oppure una vecchia casa disabitata in cui si rispolvera qualche memoria passata. In questo caso le prove o i ricordi che Bergonzoni va a scoprire sotto quelle lenzuola bianche, sono un quadro o un libro da cui escono fiotti di parole. Una centrifuga di nomi e cognomi che scaturiscono dal nulla e proseguono perfino a sipario chiuso mentre la gente in fila, si avvicinava all’uscita.
Chiara Poletti
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