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Vibrazioni

Le Vibrazioni, il Rock a teatro e il sound anni ‘70

Incontro “Le Vibrazioni” dopo un concerto tenuto in un teatro. Teatro storico, il “Ventidio Basso”, teatro protagonista di opere liriche e di classici della prosa. Le stesse tavole di palcoscenico però possono ospitare anche loro, alfieri di un rock che dal commerciale e pop e passato al vintage e allo psichedelico, con echi che ricordano gli anni ’70 e i nonni ( vabbè gli zii ) Led Zeppelin.

 

Le Vibrazioni si sono rivelati nell’autunno del 2002 con un singolo “Dedicato a te”, una poesia rock indirizzata ad una Giulia portatrice sana di “lucente armonia”. Da lì in poi sono arrivati nuovi singoli, vagonate di dischi venduti, ragazzine urlanti ma anche la volontà di re-inserire ( le “Vibra” provengono da un ambiente underground ) schitarrate rock e ritmi sincopati.

Francesco Sarcina è il leader e cantante della band.

 

Francesco, che effetto fa portare la musica delle Vibrazioni a teatro?

Fa un effetto particolare. Le persone che sono sedute in platea hanno un impatto visivo differente, si gustano maggiormente la performance, e tu le vedi li davanti a te. Vedi che a volte sui pezzi più sostenuti fremono sulle loro poltrone, magari vorrebbero alzarsi, ma l’atmosfera che si respira è magica. Ci fa pensare che sarebbe una gran  cosa concepire un tour solo per i teatri, dove portare la nostra musica magari in veste acustica, con l’aggiunta degli archi.

 

 

 

Siete al terzo album e siete in tour; è evidente, anzi, permettimi di dire che è matematico, che quando una band ha solo un album alle spalle ha problemi per riempire tutta la scaletta del concerto. Quando si hanno due album tutte le canzoni entrano perfettamente nello show. Quando si arriva al terzo album bisogna cominciare a scegliere e a far fuori dei pezzi. Come avete scelto la sequenza dei brani?

Non è una cosa semplice. Più album fai e più hai la possibilità di offrire al pubblico uno show variegato, con tante sonorità. Certo è che poi devi scegliere, e devi far fuori delle canzoni che magari a te piacciono particolarmente ma che invece al pubblico arrivano meno. In linea di massima scegliamo i brani che la gente vuol cantare; magari album dopo album arriveremo a fare un concerto composto solo da singoli, anche se la nostra volontà primaria è quella di fare tanto rock and roll.

 

 

 

Senza scomodare la fisica , anche perché non ci capisco una mazza, ci spieghi cos’è quello strumento così strano che hai suonato alla fine della canzone “Portami via”?

Quello strumento si chiama THEREMIN ed è nato nei primi del Novecento. E’ particolare alla fine degli anni Sessanta veniva utilizzato nei film dell’orrore, per creare dei simil-urli di fantasmi. Si suona avvicinando le mani ad un’antenna radio, e le vibrazioni che ne escono producono il suono. Io non sono così esperto nel suonarlo, però nel concerto l’ho usato un po’ alla Jimmy Page dei Led Zeppelin, producendo quindi dei suoni psichedelici. Se non si fosse capito, gli anni Settanta e i suoni di quel periodo sono la nostra fonte di ispirazione primaria.


 Domenico Marocchi

Cultura e Spettacoli

Interviste

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