La decrescita felice
Metti che l’idea di sviluppo che hai in mente è drogata. Frutto della dipendenza cronica che da decenni ti lega al miraggio della crescita continua. Genericamente economica, ma più concretamente la crescita di cui parliamo è quella che investe tutto il settore secondario (industria) e quello che oggi sembra farla da padrone, ovvero il terziario (servizi). “Aumentare la produzione!”, “far crescere di due punti percentuali il PIL!”, così siamo abituati a misurare la ricchezza della società in cui viviamo. Ma questo PIL, dopotutto, cos’è? Il Prodotto Interno Lordo è un indicatore della quantità di merci (oggetti e servizi) scambiate con denaro; stiamo parlando di merci, non di beni, che sono cose ben diverse anche perché non tutte le merci sono beni e non tutti i beni sono merci. Se faccio un percorso in automobile, consumando benzina che è oggetto di mercato, faccio aumentare il PIL, quindi la benzina è una merce. Se produco nel mio orto dei pomodori biologici non faccio aumentare il PIL perché non li vado a comprare (denaro per produzione, spostamento e spesa), perciò i miei pomodori sono beni, non merci. Nel primo caso, nonostante io inquini, consumi fonti fossili non rinnovabili e possa causare incidenti, la qualità della mia vita dovrebbe aumentare, anche se di fatto, tra stress e CO2 nell’aria, così non è. Nel secondo caso, nonostante i miei pomodori siano migliori qualitativamente rispetto a quelli del supermercato e io non utilizzi concimi chimici, la qualità della mia vita dovrebbe diminuire, stando al PIL. Qualcosa non va in ciò che il PIL misura, ma questo è l’incantesimo dell’economia e del consumismo, che ci rende dipendenti dal mercato; solo riscoprendo la sobrietà (intesa come utilizzo responsabile delle risorse) potremo avviarci gradualmente lungo la strada della decrescita. In una società alla rovescia, che confonde l’autoproduzione con la taccagneria, quello della decrescita è l’unico percorso per un futuro responsabile. Ancora un esempio: per far arrivare due vasetti di yogurt sul banco frigo del supermercato, ben confezionati, vengono percorsi circa mille chilometri (fonti fossili, CO2, inquinanti vari, traffico, rifiuti…), per un costo totale di cinque euro al litro. Se faccio fermentare del latte aggiungendo un bel cucchiaio di marmellata fatta in casa, ottengo uno yogurt infinitamente migliore per me (freschezza, fermenti lattici, no conservanti…), senza le conseguenze negative dello yogurt industriale, a un costo di un euro al litro. Il miglioramento della qualità della vita è evidente se mi faccio lo yogurt in casa, ma il PIL decresce. Comprare cose che prima ci facevamo in casa non significa affatto migliorare le condizioni di vita; è fondamentale riappropriarsi del valore intrinseco dei beni e del loro utilizzo, dando sempre meno peso alle merci, che spesso non contribuiscono affatto in positivo alla qualità della nostra vita. Riorganizzando l’economia attorno all’autoproduzione e allo scambio non mercantile (dono e reciprocità) è possibile non solo vivere meglio, ma anche guadagnare in termini di quei rapporti sociali perduti proprio a causa del dominio assoluto delle società mercantili. Le cose di cui ci parla Maurizio Pallante ne “La decrescita felice” non sono teoria di mondi utopici, ma vengono sempre più riscoperte e praticate, grazie ad esempio ai gas (gruppi di acquisto solidali), creati da famiglie che condividono questo necessario cambio di stile di vita, uno sforzo collettivo per invertire il paradigma culturale del PIL che deve crescere. Perché continuare a sprecare la maggior parte del calore che usiamo per riscaldare le nostre case? Non sarebbe più logico, intelligente e responsabile fare in modo che la casa trattenga più calore, consumandone meno? Si potrebbe, come avviene da anni in Alto Adige, costruire solo case che consumino non più di quattro litri di gasolio al metro cubo (contro i venti delle nostre…), lavorando su doppi vetri evoluti e coibentazioni. Allo stesso tempo apriremmo un nuovo mercato, quello delle ristrutturazioni a risparmio energetico, creando nuovi posti di lavoro doppiamente utili. Solo cercando di mettere in pratica nel quotidiano principi come quello del consumo responsabile o del risparmio energetico inteso come non spreco, sarà possibile far emergere determinate esigenze da rappresentare ad una politica troppo spesso inerte o incapace; scoprire in un centinaio di pagine che tutto questo è veramente possibile dovrebbe spingerci a fare il primo passo.
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