I rischi connessi con l’esposizione al radon sono da collegarsi prevalentemente all’esposizione ai suoi “figli”: essi rappresentano la seconda causa di tumore polmonare, dopo il fumo di sigaretta.
Il radon presente nell’aria viene inalato e in gran parte espirato. I prodotti di decadimento del radon, invece, si trovano nel particolato atmosferico presente negli ambienti chiusi, che viene trattenuto a livello bronchiale. Il radon e i suoi “figli” possono generare un danno al DNA dei tessuti polmonari a causa dell’energia rilasciata dalle particelle alfa* emesse nel decadimento. Una buona parte dei danni procurati al DNA viene riparata grazie ad appositi meccanismi cellulari. La parte di danni non riparata col tempo può trasformarsi in tumore: maggiore è la quantità di radon e dei suoi “figli” inalata, maggiore è il rischio che qualche danno non venga riparato e che si trasformi in tumore, in particolare se il danno alle cellule è associato a quello da fumo di tabacco. Tra il danno al tessuto polmonare e l’insorgere di un tumore possono trascorrere anni o decenni.
(*) Particelle alfa: emissione da parte del nucleo di due protoni e due neutroni. Si tratta di una radiazione poco penetrante (basta infatti un semplice foglio di carta a bloccarla) e quindi poco pericolosa se colpi sce il corpo umano dall’esterno, ma molto pericolosa se emessa da una sostanza ingerita o inalata.
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