They can, e noi?
di Gloria Lattanzi 06/11/2008 - A prescindere da qualsiasi orientamento politico e da qualsiasi ideologia, nell’ultima elezione del Presidente degli Stati Uniti d’America si è assistito a uno spettacolo assolutamente eccezionale. A prescindere dalle particolari caratteristiche e origini del candidato risultato vincitore, vedere file davanti alle urne sin dalle primissime ore del mattino, osservare le lacrime agli occhi di tanta gente, ascoltare la musica dei festeggiamenti che ha attraversato l’intero paese come una scossa elettrica è stato emozionante. È stata la pura e semplice dimostrazione di un popolo che effettivamente ha fiducia soprattutto in se stesso, ha fiducia nei proprio poteri quali mezzi per stimolare un cambiamento ormai urgente. Un popolo che nella storia è stato e rimarrà sicuramente il più eterogeneo e variegato, che nella storia è stato attraversato da guerre civili sanguinose, da razzismo, da odio, un popolo a cui appartengono le etnie più disparate, un popolo dalle proporzioni vastissime che ha dato un grandissimo insegnamento di civiltà soprattutto a noi europei. A noi europei che siamo infinitamente di meno per ogni stato, a noi europei che quando siamo chiamati a decidere delle sorti del nostro paese riottosi e svogliati andiamo alle urne in pochissimi, a noi europei che poi quando ritroviamo al governo i soliti soggetti i quali dovrebbero rispettare e realizzare la volontà della nazione e fanno tutto il contrario, ci lamentiamo e manifestiamo. Lo scorso 4 Novembre deve rimanere una data storica per noi e solo per noi, per farci capire che alla base del cambiamento, alla base delle nascita di nuove possibilità, ci siamo noi stessi. E anche se con una piccola croce su un foglio, siamo noi i detentori del potere, noi che decidiamo. L’elezione di Barack Hussein Obama incarna l’esigenza di andare avanti, di cercare altre strade per il benessere della nazione. Oltre il fatto che sia un Afroamericano, oltre il fatto che sia giovane, che abbia solo 47 anni, è stato lui la figura in cui gli Stati Uniti d’America hanno visto la guida più adatta per un paese che sta attraversando un periodo delicatissimo. L’augurio più grande è da rivolgere alla nazione, ed è l’augurio che essa possa essere soddisfatta della scelta intrapresa. Un popolo soddisfatto, compatto e in sintonia coi propri organi di governo è la miglior garanzia per la stabilità del paese. Loro ora possono essere soddisfatti di aver eletto chi secondo loro può rappresentarli data la larghissima maggioranza ottenuta dal vincitore, loro possono sperare di essere soddisfatti delle riforme e dei progetti che il Presidente porterà avanti, loro possono cambiare, e noi? Noi possiamo cambiare se tutte le volte che siamo chiamati a votare possiamo scegliere tra la solita rosa di volti noti che ormai da decenni occupano lo scenario politico? Noi possiamo sperare nel cambiamento se gli interessi perseguiti dai diversi partiti e personaggi sono sempre gli stessi? Noi possiamo cambiare se quando siamo convocati a farlo ce ne disinteressiamo?
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