2007-01-09 - Storie di ordinaria umanità nel diario di una ragazza del Piceno che trascorre un anno in un Paese lontano/9
La sera della Vigilia
Dopo il secondo giorno di deserto ci ritroviamo la sera del 24 dicembre in un “albergo basico”, dove non c’è nè elettricità nè acqua. Siamo tre diversi gruppi turistici provenienti da tutto il mondo ed organizziamo un cenone a suon di birre e vino venduti nell’unico negozio del deserto, a due metri dal nostro albergo. Dopo aver imparato alcune particolari tradizioni dei vari paesi rappresentati, eleggiamo all’unanimità il brindisi ufficiale della Vigilia 2006: “We haa ioooo!”( “cin cin”in coreano).
Tra lagune e deserto (25/12/06)
È il giorno di Natale e siamo già alla terza ruota forata. Siamo in mezzo alla strada deserta, fatta di sabbia e ciottoli taglienti che squarciano ruote di fuoristrada come se fossero fatte di cartapesta. Per fortuna si vede una jeep all’orizzonte, speriamo abbia una ruota sana sennò rimarremmo in contemplazione ancora per un po’. L’autista, Walter, e la cuoca, sua moglie, sono sotto pressione perchè gli altri membri dell’equipaggio devono essere alle 18.30 ad Uyuni, hanno un bus da prendere. Walter ha corso come un pazzo per raggiungere Uyuni in tempo. E’ stanchissimo: ha cambiato 3 ruote e non credo abbia mangiato. Una volta fatti scendere gli altri in stazione, sua moglie si sfoga con me e Nicola parlando di Orlando, un ragazzo boliviano in tour con noi. “Io quel ragazzo non potevo proprio sopportarlo, sempre a chiedere l’ora, con certe maniere!Alla fine siamo arrivati in tempo e neanche ci ha ringraziati. Peggio dei turisti! E pensare che è boliviano! Rinnega il suo paese, parla male del suo presidente…” In cinque minuti ha buttato fuori tutto quello che aveva dentro.
Le sue parole si capiscono meglio se si conosce in generale la realtà boliviana. La società è profondamente divisa tra la minoranza di bianchi ricchi (discendenti dei “conquistadores” spagnoli) e la maggioranza “indígena” povera (con forti caratteri somatici indios). Da alcuni mesi è stato eletto presidente della Repubblica Evo Morales, di origine “indígena” e le cose sembrano cambiare, causando una grande indignazione tra i boliviani bianchi, i quali stanno perdendo alcuni privilegi secolari.
Sucre (27/12/06)
Che pace si respira a Sucre, la capitale barocca della cultura boliviana. Dopo il deserto ed i sobbalzanti percorsi nella jeep di Walter, io e Nicola avevamo proprio bisogno di questo tipo di atmosfera. Siamo arrivati ieri sera dopo 10 ore di viaggio. La strada da Uyuni a Potosí è semplicemente incantevole: le montagne mostravano i loro abiti migliori e più colorati, come in una sfilata di moda. L’autista, con la bocca colma di foglie di coca (qui vengono usate come rimedio per combattere l’altitudine), “strombazzava” come un pazzo per far spostare lama e pecore che ci attraversavano la strada. A volte, all’interno delle vallate, ci imbattevamo in passaggi a livello rudimentali dove si pagava il pedaggio e dove spesso si raggruppavano casupole di argilla e tetti di paglia. Davanti agli usci delle abitazioni le donne del villaggio conversavano all’ombra. Le signore vestono in modo tradizionale qui: indossano tutte un cappello a bombetta al centro della nuca, dal quale scivolano due lunghe trecce nere, che terminano con guarnizioni di stoffe. Rigorosamente abbigliate con uno scialle di lana, un grembiule ed una gonna scampanata. Il volto solcato da rughe e lo sguardo intenso. Vorrei fotografarle tutte per rubare loro parte di quella cultura antica, di quel legame con la madreterra che noi, al “nord”, stiamo dimenticando.
A Sucre un residence ben curato ci accoglie, con giardinetti e personale cordiale. L’idea era quella di dedicarci alla visita di musei e cattedrali e tutto quello che di culturale ed artistico la città ci potesse offrire. Purtroppo il nostro piano viene sabotato dal “mercado general”. Dovevamo solo fare un paio di foto ed invece… Abbiamo scoperto il nostro paradiso culianario!! Iniziando con un sándwich di “choriso” e cipolla, gustando poi una macedonia di frutta yougourt e caramello e continuando con tante altre leccornie che ci hanno trattenuto all’interno dello stabile diverse ore. L’atmosfera del mercato è speciale, si trova di tutto e la gente non è insistente nel vendere i propri prodotti, è il goloso che non può resistere alle mille tentazioni!
Nel pomeriggio un giro in piazza, una conversazione con alcuni bimbi di strada che vogliono ad ogni costo lustrarci le scarpe: Nicola cerca di spiegare che in Italia le scarpe da tennis non si lucidano, io sono in ciabatte e non so cos’altro aggiungere. Alla fine ce la caviamo regalando loro un gelato: lo so, i soliti turisti!
Con una combi (anche qua ci sono!) raggiungiamo una delle parti più alte di Sucre, segnalataci dalla guida come “da non perdere”. Un’altra piacevole scoperta ad attenderci: il bar “El mirador”. Gestito da un italiano, emigrato in Bolivia per amore, questo locale offre la possibilità di rilassarsi sotto l’ombra di ombrelloni di palma e ammirare la città che riposa di sotto.
La Paz (29/12/06)
Ultima tappa del viaggio prima del rientro: La Paz, la capitale più alta del mondo. Dopo uno speciale pranzetto a base di lama, acquisti sfrenati! Maglioni di alpaca e oggetti artigianali trovano subito uno spazietto nelle nostre valigie, io sono disposta a sacrificare asciugamani e bagnoschiuma per i “tejidos” che mi hanno stregata; Nicola compra maglie per tutta la famiglia!
Alla ricerca di un bar carino consigliato dalla guida, veniamo sviati dalla musica proveniente da un locale sull’ “avenida” Cochabamba: “Los Angeles”. Entriamo attraverso una porta da saloon, assomiglia ad una delle vecchie osterie italiane degli anni ’50. Io e Nicola siamo gli unici europei: alcuni ci squadrano con diffidenza, con altri ci scambiamo gli auguri per l’anno che verrà, come fossimo amici da una vita. Ambiente informale con fumo, birre (rigorosamente Paceña) e musica a volontà che rallegrano la nostra ultima serata boliviana.
Rientrando (30/12/06)
Il viaggio di rientro è tutto programmato a puntino: taxi, bus e aerei, tutto si incastra perfettamente al millesimo, un ritardo potrebbe essere fatale, ma noi siamo ottimisti. La giornata inizia alle 6.30 per sistemare le valigie, ce la caviamo con due zaini, due borse e due buste: ci vorrebbero 4 mani! Alle 7.30 litigio con l’hostess dell’agenzia “nuevo continental” che non vuole cambiare la ricevuta di pagamento con i biglietti del bus, dopo mezz’ora risolviamo il contenzioso. L’autobus parte in ritardo e come se non bastasse sulla strada ci blocchiamo due volte: la prima per aspettare una coppia di francesi che non si era svegliata, la seconda per il controllo dei passaporti. Alcuni passeggeri vengono trovati irregolari. Arriviamo alla frontiera con il Perù, il funzionario mi assegna 90 giorni! Così per i prossimi tre mesi non sarò costretta ad espatriare. Lungo il percorso un’altra sosta: una turista giapponese dimenticata da un’agenzia alla frontiera chiede asilo al nostro autista, asilo rifiutato e si prosegue.
A Juliaca l’ultima sorpresa: il volo che doveva catapultarci a Lima per permettere a Nicola di prendere l’aereo per l’Italia, è cancellato. Veniamo aggiunti in un’altra lista passeggeri. Il mio nome non risulta al check-in: panico. Dopo alcuni minuti, tutto si regolarizza. Io sono un po’ nervosa, mangio di fretta per non tardare l’imbarco. Nicola cerca di farmi sorridere. In aereo è Nico ad essere teso, ha paura di volare, e pensare che è solo il primo dei quattro voli che lo aspettano prima di arrivare in terra calabrese. Con nuove energie saluto il mio amico e mi preparo ad affrontare la capitale. (da provincia.ap.it)
Serena D'Angelo
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