di Lucio Garofalo
20/01/2008 - Probabilmente viviamo in un tempo di crisi, contrasti e rivolgimenti profondi, un tempo di trapasso caotico verso un mondo possibilmente nuovo, diverso, ma non sappiamo ancora se migliore o peggiore di quello esistente. Da ogni parte del globo, persino dagli angoli più remoti e isolati del pianeta, provengono segnali che inducono a pensare che stiamo vivendo una fase storica di transizione verso un’epoca in cui gran parte delle precedenti categorie politiche, filosofiche, etiche e spirituali, potrebbero essere rovesciate, quantomeno di senso. Tanto per citare qualche esempio banale ma efficace, un atteggiamento di carattere (ottusamente) protestatario rischia di invertirsi nel suo valore opposto, ossia in un gesto qualunquistico e reazionario. La ribellione si rovescia nel suo termine contrario, l’obbedienza. Il (falso) progresso nasconde in realtà un pericoloso regresso. La verità copre la menzogna. E via discorrendo.
A me pare che in questo discorso risuoni l’eco di “vecchie”, ma sempre attuali, riflessioni pasoliniane come quelle contenute negli “Scritti corsari” e nelle “Lettere luterane”, pubblicate postume nel 1976. Nell’ultimo anno della sua vita (nel 1975) Pasolini condusse, dalle colonne del “Corriere della Sera” e del “Mondo”, un’appassionata requisitoria contro l’Italia del suo tempo, “distrutta esattamente come l’Italia del 1945″, che per certi versi assomiglia in modo raccapricciante all’odierna società italiana. Muovendo dall’analisi dei mutamenti culturali degli anni del “boom economico”, Pasolini rinveniva i segni e le testimonianze di un inarrestabile degrado: “la crisi dei valori umanistici e popolari; le lusinghe del consumismo, più forte e corruttore di qualsiasi altro potere; le distruzioni operate dalla classe politica; un’invincibile e diffusa “ansia di conformismo”; le mistificazioni di certi intellettuali autoproclamatisi progressisti.” A conferma che la Storia non procede sempre in avanti: l’individuo e la società possono (purtroppo) regredire.
Ebbene, cosa c’è di più degradante ed inquietante dell’immondizia e della grave crisi sociale scatenata dai rifiuti (e non mi riferisco solo alle attuali vicende, ossia alla drammatica vertenza napoletana) che ha fatto emergere dai cumuli di immondizia e dalle macerie civili, etiche e spirituali, una ben peggiore spazzatura, di natura morale e politica?
Oggi servirebbe probabilmente un nuovo grande Processo giudiziario contro l’attuale classe politica dirigente a livello locale (in Campania) e nazionale. Un processo di carattere penale, da celebrare nelle aule di un tribunale, come quello suggerito e proposto da Pasolini nelle “Lettere luterane”. Il grande Processo (la maiuscola, che lo apparenta a quello di Kafka, è stata scritta da Pasolini) alla classe politica italiana (il “Palazzo” ), e rivolto contro i “gerarchi democristiani”, in particolare: “Parlo proprio di un processo penale, dentro un tribunale.” I politici (a maggior ragione anche quelli di oggi) dovrebbero essere “accusati di una quantità sterminata di reati, che io enuncio solo moralmente […]: indegnità, disprezzo per i cittadini, manipolazione del denaro pubblico, intrallazzo con i petrolieri, con i banchieri, connivenza con la mafia, alto tradimento in favore di una nazione straniera, collaborazione con la Cia, uso illecito di enti come il Sid, responsabilità nelle stragi di Milano, Brescia e Bologna […], distruzione paesaggistica e urbanistica dell’Italia, responsabilità della degradazione antropologica degli italiani […], responsabilità della condizione, come suol dirsi, paurosa, delle scuole, degli ospedali e di ogni opera pubblica primaria, responsabilità dell’abbandono ‘selvaggio’ delle campagne…”. Cioè la responsabilità di tutto, e quindi un processo imperniato su tutto il mondo degli italiani del 1975 (e del 2008!).
Tra i capi d’accusa appaiono anche responsabilità di natura morale, più che penale: ad esempio la “degradazione antropologica degli italiani”, (tra)passati nel giro di una generazione dalla campagna alla città, e sedotti dal consumismo, imposto prima della costruzione di un tessuto sociale serio e civile. “In ciò non c’è niente di sfumato, di incerto, di graduale, no: la trasformazione è stata un rovesciamento completo e assoluto.” Una trasformazione alienante, brutale e disumanizzante, insomma distruttiva.
Il Processo non doveva essere un Processo di stampo kafkiano — ossia simbolico, allegorico, letterario e immaginario — ad un Palazzo kafkiano (il Castello: un simbolo allegorico, letterario e immaginario). L’ipotesi pasoliniana puntava invece alla realtà, con il solo difetto di essere espressa da un poeta-scandalo e in uno stile da poeta (iterazioni, anafore, iperboli), che non poteva avere né rispetto umano né un ascolto scientifico: “Nessuno ha mai risposto a queste mie polemiche se non razzisticamente, facendo cioè illazioni sulla mia persona. Si è ironizzato, si è riso, si è accusato. Ciò che io dico è indegno di altro; io non sono una persona seria.”
Mi domando cosa scriverebbe oggi lo “scandaloso” Pasolini contro gli scandali del nostro tempo, contro lo scandalo di un territorio sommerso ed infestato dagli scarti e dai veleni d’ogni genere, ma ancor più contro lo scandalo di un’immondizia ben più fetida e nauseabonda, quella della classe politica più inetta e criminale d’Europa.
Riflettendo sulle possibili tecniche da adottare per risolvere l’angosciante problema che turba un pò tutti (chi per un motivo chi per un altro, chi perché inquisito e sotto inchiesta, chi perché sepolto da cumuli di pattume, e via discorrendo) ho pensato che, se la raccolta differenziata è il metodo più intelligente, facile, ecologico ed economico per smaltire i rifiuti, la vera rivoluzione da compiere in futuro investe il modo stesso di produrre beni di consumo, ridimensionando il tenore di vita materiale vigente nelle società occidentali, eccessivamente consumistiche e distruttive. Ovvero attuando una drastica riduzione dell'opulenza e della produzione di immondizia, che in tal modo è più facile da recuperare e valorizzare in termini di materiale riciclabile. Lucio Garofalo