“Il dolore rimane per sempre”
Intervista a Yang Ik-june, regista e interprete del definitivo “Breathless”
Di persona Yang Ik-june appare come un ragazzo simpatico e un po’ discolo, niente a che vedere con il personaggio ultraviolento di Sang-hoon che interpreta nel suo primo, bellissimo film da regista, “Breathless”, presentato di recente in esclusiva italiana al Korea Film Fest di Firenze. Classe 1975, Ik-june si accredita prepotentemente con questo film come il nuovo talento da seguire nel panorama cinematografico coreano.
Il senso di ogni scelta e di ogni azione dei personaggi di “Breathless” sembra essere nei flashback che mostrano le violenze subite dai personaggi nel passato. Si ha anche l’impressione che ci sia molto di personale. Le scene dei ricordi vogliono esprimere una violenza quotidiana, una violenza insita nella famiglia. La violenza di cui parlo non è fisica o mentale, ma è una violenza che il nostro tipo di società ci fa crescere dentro. Certamente c’è parecchio di personale. Un film per me è come esprimere in modo visivo un diario, un lungo diario, un diario lungo anche molti anni. Hai interpretato la parte principale. Cosa significa essere sia davanti che dietro la macchina da presa? Non c’è differenza, sia davanti che dietro fumo tantissimo (ride, nda). A parte gli scherzi, molta differenza non c’è, a parte il fatto che debbo lavorare il doppio. Essere regista e interprete può però essere un vantaggio, perché, lavorando come attore con gli altri attori, diventa anche più facile dirigerli. Ci sono molti attori non professionisti nel film? I personaggi principali sono veri attori. Gli attori minori sono invece parte dello staff del film, ma hanno lavorato così bene che non si percepisce differenza. A me, se al primo impatto piace una persona, la faccio recitare, se non è un vero attore non importa. Puoi dirci il nome di qualche regista, asiatico o occidentale, che ti ha influenzato? Per questo film non c’è stata nessuna influenza. Il finale di “Breathless” è molto drammatico e molto doloroso ma allo stesso tempo è anche pieno di felicità: la morte del protagonista sembra permettere la felicità degli altri. Anch’io avrei voluto non far morire il protagonista e avrei voluto non fargli vivere la vita che ha vissuto. Ma una volta subita una violenza, il dolore rimane per sempre. La fine del film può significare la morte della violenza o l’inizio della felicità o una speranza di cambiamento. Quando ho scelto il finale ho visto come unica soluzione possibile la morte del protagonista. E’ comunque difficile spiegare il finale per me, perché l’ho scritto non con la testa ma col cuore.
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