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V.Sebestyen "Budapest 1956" (Rizzoli, 2006) |
Budapest 1956: intervista a Victor Sebestyen
di Pierluigi Lucadei
Sono passati cinquanta anni da quei dodici giorni che scossero l’Europa e che segnarono, nei Paesi del blocco comunista, un risveglio che avrebbe portato poi alla Primavera di Praga, a Solidarnosc, alla caduta del Muro di Berlino. Gli ungheresi, nel 1956, furono i primi a rivoltarsi contro il regime sovietico, sollevandosi in migliaia, casalinghe, operai, studenti delle elementari compresi. Il giornalista Victor Sebestyen, figlio della Rivoluzione costretto ad emigrare con la sua famiglia nel Regno Unito, racconta il dramma del suo Paese in un coinvolgente e appassionato volume edito da Rizzoli: “Budapest 1956”. Lo abbiamo incontrato per sentire la sua versione di una delle pagine più belle e più tragiche della storia del Novecento, la Rivoluzione d’Ungheria, un evento cruciale che per tanto tempo, pudicamente, è stato edulcorato con l’orrendo nome di fatti d’Ungheria e che, ancora oggi, molti ritengono tabù.
Perché oggi è importante ricordare la Rivoluzione d’Ungheria? «Innanzitutto per il semplice fatto che la storia non può avere pagine cancellate, anche quando ricordare è doloroso. Ogni volta che vado in Ungheria mi rendo conto che il 1956 è ancora tabù, è un argomento di cui gli ungheresi non parlano volentieri, sembra quasi che ci sia un’amnesia collettiva su quegli eventi. Io sono convinto che sia sempre il momento di parlare della Rivoluzione, non fosse altro per il fatto che ciò che accadde nel 1956 ha dato vita alla mappa geopolitica degli anni successivi. Io definisco la Rivoluzione d’Ungheria il momento in cui è venuta fuori la Guerra Fredda, in cui l’Unione Sovietica ha fatto una sorta di dichiarazione d’intenti. Così tutta la generazione successiva ha visto la mappa dell’intera Europa definirsi a partire da quegli eventi.» Aveva delle motivazioni personali che l’hanno spinta a raccontare quei giorni? «La prima motivazione è che sono un giornalista e la Rivoluzione aveva tutti gli elementi che possono stimolare un giornalista. Io non ho vissuto la Rivoluzione sulla mia pelle. Sono nato proprio nel ’56 ma con la mia famiglia siamo dovuti fuggire in Inghilterra, quindi non ho una memoria vera della Rivoluzione. Ho avuto modo di leggere i diari che mia madre e altri miei parenti scrissero durante quei giorni, così ho potuto toccare con mano gli eventi attraverso quello che avevano scritto loro all’epoca.» Quali altre fonti ha utilizzato? «Oltre ai diari dei miei familiari, ho utilizzato moltissime interviste e tutta una serie di documenti che dopo il 1991 sono stati resi pubblici. Il collasso del comunismo ha dato modo di affrontare l’argomento in maniera molto più aperta, abbiamo tanti documenti che sono stati de-secretati e tante conversazioni che rendono la ricostruzione storica molto più attendibile.» Che taglio ha deciso di dare al libro? «Ho cercato di catturare il dramma di quei tragici eventi, mi sono soffermato molto sui combattimenti in strada, anche su quei bambini di dodici anni che, armati di molotov, lottavano anche loro per la liberazione. Ho cercato di descrivere gli eventi giorno per giorno, nel modo più narrativo possibile. Poi, spero di esserci riuscito, ho cercato di spiegare la tragedia mostrando anche cosa ci fosse dietro il sipario, per esempio cosa succedeva a Washington.» Come giudica, a distanza di cinquant’anni, la reazione sovietica? «Schiacciando la rivolta, i russi hanno fatto ciò che gli imperi hanno sempre fatto. Io descrivo la loro brutalità, ma, dalla loro prospettiva, hanno fatto una cosa assolutamente normale, se non si fossero comportati così il loro impero sarebbe crollato. Recentemente sono stati rilasciati dei documenti dai quali emerge cosa successe in quella situazione: la realtà è che i russi furono indecisi fino alla fine, fino a quando decisero di intervenire reprimendo la rivolta in modo violento. C’è da considerare il fatto che l’Unione Sovietica stava diventando giorno dopo giorno più ansiosa rispetto a quello che succedeva nel centro Europa, in Cecoslovacchia, in Romania, e voleva estirpare l’infezione prima che questa potesse espandersi; quindi, quando si è accorta che l’Ungheria voleva uscire dal suo blocco, decise di intervenire per evitare l’effetto domino che si sarebbe verificato trenta anni dopo. Ripeto: il comportamento dei russi è stato orribile, ma perfettamente comprensibile. Quello che è più difficilmente spiegabile è il comportamento degli altri Paesi. Sicuramente gli Stati Uniti hanno in qualche modo incoraggiato la Rivoluzione, ma sta di fatto che quando il momento è giunto l’Ungheria è stata abbandonata, non solo dagli Stati Uniti, ma dall’intero Occidente. E’ vero che molte persone si sono rifugiate nei Paesi Occidentali, ma quello che doveva essere il vero appoggio, il vero aiuto, non c’è stato. Ma, in fondo, forse è giustificabile anche questo tipo di politica: chi avrebbe accettato di aiutare un piccolo popolo come quello ungherese e mettersi contro una Super-Potenza?» Se gli ungheresi avessero avuto l’aiuto che più di recente hanno avuto gli afgani, per esempio, sarebbe andata diversamente? «Direi che è stato tutto inevitabile. Logisticamente non sarebbe mai potuto succedere che l’Ungheria vincesse. C’era in ballo non solo il destino di un popolo ma tutti quei valori che in nessun modo dovevano espandersi a macchia d’olio. Inoltre le altre potenze non erano politicamente inclini ad intervenire. Nel libro si parla di un accordo tra Stalin e Churchill dal quale si evince che, comunque fossero andate le cose, l’Ungheria sarebbe rimasta nel blocco sovietico. Il libro riporta anche una dichiarazione di Richard Nixon, allora vice-presidente, che, tre mesi prima della Rivoluzione di Budapest, disse che non sarebbe stata una cattiva cosa se il pugno duro di Mosca si fosse abbattuto sui Paesi del suo blocco.»
Per approfondire:
www.hungary1956.com (Hungarian Revolution Portal) www.freedomfighter56.com (Freedom Fighter 56 Oral History Project) www.rev.hu (Institute for the History of the 56 Hungarian Revolution)
C.Bernardac “… a Budapest si muore” (Ciarrapico, 1976) E.Bettiza “1956. Budapest i giorni della rivoluzione” (Mondadori, 2006) G.Dalos “Ungheria 1956” (Donzelli, 2006) E.Lessing “Budapest 1956. La rivoluzione” (Marietti, 2006) I.Plivelic “La mia rivoluzione. Budapest 1956” (Este Edition, 2006)
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Pierluigi Lucadei
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Intervistein Vetrina |
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il 28 Nov 2006 alle 17:20 |
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