La Palestina di Enrico / 13
La visita del Papa in Terrasanta osservata da un punto di vista non convenzionale
Proviamo a vedere con gli occhi del palestinese medio la visita del Papa in Terrasanta.
Quell’uomo vestito di bianco rappresenta i cattolici, la setta più numerosa del cristianesimo. Rappresenta anche uno stato, il Vaticano. Quell’uomo deve essere molto potente, come altri che vengono in visita qui in Terrasanta. Come tutti, anche lui in Israele dirà che l’Olocausto è una tragedia unica e che Israele ha il diritto di difendersi dal terrorismo palestinese e dalle minacce degli stati arabi circostanti. Nei territori palestinesi occupati dirà che i palestinesi hanno il diritto ad uno stato che viva in pace con i vicini, e poi giù con un lungo elenco di condizioni del tipo: ‘rinuncia alla violenza ed ad ogni forma di resistenza’, ‘riconoscimento di questo e quello’, ‘dichiarazioni ufficiali d’intenti’, ‘collaborazione con Israele nella repressione dei terroristi’ ecc.
Il palestinese medio di Betlemme sarà anche frustrato per altri motivi: tutte quelle bandiere del Papa con Abu Mazen, presidente dello Stato palestinese, appese ovunque. Strano essere presidenti di uno stato che non esiste, per di più sotto occupazione militare da 41 anni. Direbbe piuttosto, sarcastico: Abu Mazen, prigioniero incaricato di rappresentare i prigionieri (i palestinesi chiusi nei vari ghetti in Cisgiordania) dinanzi ai carcerieri israeliani. Strano no? Ancora, e che rabbia: puliscono e abbelliscono la città solo per qualche giorno, per le visite ufficiali, poi tutto torna come prima, abbandono, sporcizia, caos. E tutti i gendarmi armati palestinesi (come se non fossero già abbastanza i soldati israeliani!!), le jeep militari, le strade bloccate, tutti questi pellegrini (i venditori di felafel, di kufiyya e ricordini vari saranno felici invece di fare affari) che, dopo una visita fugace, se ne torneranno nelle loro sicure case d’occidente senza la minima idea di cosa significhi per noi palestinesi (soprav)vivere in regime d’apartheid. Per loro Terrasanta, per noi da quattro generazioni terra maledetta.
Ora rimetto le mie lenti da partigiano della causa palestinese. Sono andato al campo profughi di Aida con l‘intenzione di contestare il discorso del Papa, che mi aspettavo generico, pieno della solita retorica, elusivo dei problemi che realmente affliggono i palestinesi: l’occupazione, la colonizzazione, l’apartheid israeliana. Dopo la dabka (danza palestinese tradizionale), le poesie di Mahmud Darwish, l’atmosfera vivace del campo profughi, ho invece deciso di tenere i cartelli avvolti. Quell’uomo reazionario ha in fondo scelto di tenere il suo discorso in un campo profughi, l’Aida, simbolo del diritto al ritorno dei profughi palestinesi. Il campo è attaccato al Muro dell’apartheid: i profughi del campo avevano allestito un palco per il discorso del Papa, proprio a ridosso del Muro, ma agli israeliani non piaceva che le immagini del Muro andassero in mondo visione.
Mentre torno a casa, tra le strade deserte e piene di gendarmi, incontro la troupe di Claudio Pagliara (inviato in Medio oriente per il TG1) mentre prepara il servizio sulla visita del Papa. Quel signore, durante l’attacco israeliano a Gaza, è stato secondo me responsabile di una pessima informazione, presentando il massacro di oltre 1400 palestinesi e il ferimento di oltre 5000 come guerra di un esercito che si difende da un gruppo di terroristi. Gli dico “vergognati”, ma avrei voluto dirgli molto di più…
Il Papa se ne va, si spengono i riflettori sulle parole vuote, i rituali di sempre, le finte strette di mano. Qui rimane tutto come prima, il Muro, l'occupazione, l'apartheid. Avanti il prossimo, il circo Palestina vi accoglierà con un altro applauso. Enrico Bartolomei
Pubblicato il 14/5/2009 alle ore 15:49
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