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La Palestina di Enrico / 6

La storia del signor Abid che vive in una grotta per rivendicare il diritto a conservare la sua terra che sta per essere confiscata da Israele

Il signor Abid è un rifugiato palestinese, discendente di quelle centinaia di migliaia (700.000? 900.000?) di palestinesi costretti a lasciare le proprie case durante la pulizia etnica realizzata dalle milizie ebraiche nella guerra del ’48, quando è stato creato lo Stato di Israele. Gli abitanti palestinesi di Al Walaja, e tra questi la famiglia di Abid, furono espulsi dal proprio villaggio nell’ottobre del 1948. La parte meridionale di Al Walaja è attraversata dalla Linea Verde (il confine dello Stato di Israele in seguito all’armistizio del 1949): questo significa che parte delle terre del villaggio si trovano nel confine dello Stato israeliano e parte nei Territori palestinesi occupati (Cisgiordania e Striscia di Gaza sono stati occupati con la guerra del 1967).

Il signor Abid è venuto a stabilirsi nelle sue terre che, malgrado si trovino nei Territori palestinesi, stanno per essere confiscate dallo Stato israeliano sia per la costruzione del Muro dell’Apartheid sia per permettere l’espansione della vicina colonia israeliana Har Gilo, che si erge minacciosa in cima alla collina dirimpetto. Naturalmente la costruzione del Muro e la politica di colonizzazione della Cisgiordania da parte di Israele costituiscono una flagrante violazione del diritto internazionale. Il villaggio di Al Walaja verrà quasi completamente circondato dal Muro, diventerà uno dei tanti ghetti presenti oggi nei Territori palestinesi occupati, e le proprie terre verranno confiscate per i progetti di espansione coloniale. Già molti sono gli alberi sradicati e le case demolite. Le terre di Abid saranno confiscate a giorni, nessuno può sapere quando arriveranno i soldati a dichiararle “zona militare”.

Per questo motivo Abid ha deciso di lasciare il campo profughi dove viveva per stabilirsi in una grotta di fortuna costruita qualche mese fa sui suoi 4 ettari e mezzo di terra. La sua tenacia vuole dimostrare che nessuno ha il diritto di privarlo della terra senza il suo consenso: dovranno portarlo via con la forza, ci tiene a sottolineare, mentre mostra i suoi documenti di proprietà. Gli hanno offerto soldi, gli hanno parlato del progetto di costruzione di un grande Hotel, ma niente da fare: i suoi ulivi non si toccano. Fintantoché la costruzione del Muro, l’espansione delle colonie israeliane e la confisca delle terre palestinesi andrà avanti, ci saranno cento Abid a protestare, e mille altri al suo fianco.

La grotta di Abid viene frequentata da attivisti internazionali, da giornalisti e curiosi, perfino da israeliani: tutti vogliono esprimere solidarietà e appoggio alla lotta nonviolenta del caparbio palestinese. Lui ha sempre un caffè, un tè alla menta, olio e zatar da offrire. La frugalità del luogo rende queste umili offerte di ospitalità dei doni preziosi. Ci sediamo sotto il tendone all’ingresso della capanna, attorno al tavolino di legno, a scherzare, a raccontarci. Poi piantiamo giovani piantine di ulivo, qui considerati alberi sacri in quanto risorsa vitale, simboli di speranza, tenaci testimoni delle generazioni che si succedono. Ognuna deve essere ornata da un cerchio di pietre, come augurio e rito propiziatorio affinché renda buon olio. Mi dà gioia sporcarmi le mani con quella terra, ne avverto il peso simbolico.
Gli ordini di evacuazione sono stati già emanati: tra qualche giorno forse, dal solletico delle radici degli ulivi che attecchiscono, questi fertili campi dovranno rassegnarsi agli scarponi dei soldati, ai bulldozer, alle jeep militari, al cemento. Allora noi saremo lì con te, Abid, a ribellarci.
Enrico Bartolomei

Le foto nella gallery: Abid,le terre che stanno per confiscargli, la grotta dove vive e mentre mostra i documenti di proprietà e gli ordini di evacuazione emanati dall'autorità israeliana


Pubblicato il 19/2/2009 alle ore 16:38


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