The Who - Arena di Verona. 11 Giugno 2007
Partiamo per una volta dalla fine. Da quell'abbraccio tra Pete Townshend e uno sconsolatissimo Roger Daltrey. Un abbraccio che è il simbolo del ritorno degli Who in Italia dopo trentacinque anni. La location è la splendida Arena di Verona, tanto suggestiva quanto esposta al pericolo delle intemperie. Il giorno è lunedì 11 Giugno. L'Arena è affollata da circa 10 mila fans, forse non il sold out che ci si aspettava, ma il numero è sicuramente importante considerato il fatto che è un lunedì sera e che Verona non è certamente la città più comoda da raggiungere per gli appassionati di tutta Italia. Il cielo è grigio e minaccioso, ma sembra voler risparmiare i giovani Rose Hill Drive, gruppo spalla della serata. Alle 21.15 salgono sul palco gli Who. La grande attesa per il ritorno di Pete e Roger nel Belpaese viene ripagata con un inizio da cardiopalma. "I Can't Explain" è devastante. Un'accelerazione che fa tremare le fondamenta dell'Arena. "The Seeker" e l'immortale "Substitute" sono accolte da un'ovazione. Dietro al palco un maxi schermo proietta le immagini di repertorio della band, spezzoni di Quadrophenia e di quei "meravigliosi anni 60". "Fragments" è la prima traccia del nuovo album "Endless Wire", il simbolo della rinnovata vena creativa di Pete e Roger. Durante "Who Are You" si scatena il diluvio. Gli Who lasciano il palco, il pubblico, dopo una breve attesa, si rifugia sotto i portici dell'Arena. Passano quarantacinque minuti. Quando le perplessità sulla ripresa del concerto si sono già fatte strada nei cuori dei fans, una voce annuncia le intenzioni della band di voler continuare. Fuori piove ancora, ma la tempesta sembra ormai passata. Nuovo soundcheck e si ricomincia. "Behind Blue Eyes" è splendida, ma la voce di Roger Daltrey sembra avere qualche problema. Il cantante, imbufalito, butta il microfono e lascia il palco. La band si ferma. Segue una breve colluttazione tra Townshend e Daltrey. Qualche gesto, tanto nervosismo. Pete torna fuori: "Roger’s voice is gone". Altri dieci minuti di attesa, poi Roger Daltrey, Pete Townshend, il bassista Pino Palladino, il batterista Zak Starkey, il tastierista John Bundrick e il multistrumentista Simon Townshend tornano sul palco. Daltrey fa finta di cantare, abbozza qualche ritornello, si esibisce all'armonica a bocca. Ma lo spettacolo vero è Pete Townshend: canta, suona come un dannato, salta e si esibisce alla sua maniera, braccio alzato e poi giù sulle corde della chitarra, come un mulino a vento. La scaletta è stravolta. I pezzi suonano rabbiosi come non mai. "Let's See Action", la classicissima "Eminence Front", "Relay" e "Magic Bus" si susseguono sul palco. La band segue le schitarrate di Townshend. Zak Starkey, figlio di Ringo Starr, dimostra di essere uno dei migliori batteristi in circolazione. "Baba O'Riley" è cantata da diecimila voci. La gradinata è una bolgia. "The Real Me" e "Pinball Wizard" iniziano a scricchiolare, la band soffre insieme a Roger Daltrey, che, sconsolato, arretra in seconda fila sul palco e si esibisce alla chitarra. Il finale è uno show sensazionale targato Pete Townshend: "The Kids Are Alright", "My Generation" e "Won't Get Fooled Again". Roger Daltrey saluta con una promessa: <<I'll come back, with my voice...>>. Pete si gode l'ovazione del pubblico e va a consolare il compagno di sempre. Durante una serata particolare, imprevedibile e certamente lontana dalla classica autocelebrazione, gli Who hanno mostrato comunque tutto il loro spirito rock'n'roll ed hanno messo a nudo tutti i pregi ed i difetti che hanno reso loro una delle band più importanti della storia del rock: la testardaggine di Pete, le tensioni e gli attriti con Roger, l'energia selvaggia ed irriverente dei loro pezzi. Ed infine quell'abbraccio affettuoso che non ti aspetti, seguito da uno scrosciante applauso, segno del rapporto difficile e sfortunato di questi due splendidi sessantenni con l'Italia. Roger ha promesso che tornerà. Difficile credergli. Noi ti aspettiamo. Intanto... grazie ragazzi.
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