Etichetta: Holidays Records
Brani: Goa / Psychogoa / Nirvana / Stellar life / Freak / Kava / Ha.ha / L’ago che succhia e sputa / Psycho / Odo Eye Wu / Megalöklift / Sin-ti
Un caldo bastardo da scioglierci il primo strato di squame e pure il secondo. Giorni difficili, diresti intensi. Diresti giorni della gioventù, di quella che si butta a capofitto nella mischia dei sentimenti sbagliati, delle ortiche al cuore, dei treni che partono a vagoni carichi.
Questo primo disco degli Afraid! suona nel pieno di un vortice personale, direttamente proporzionale ad un caos che l’estate proprio non merita.
“Megalöklift” è un album carico come pochi. Intenso come l’Italia, nel modo cosciente con cui questo lavoro è suonato, non sfornava da tempo. Una mischia di suoni ruvidi, violenti, che mangiano l’ascolto. Dodici pezzi che passano al tuo orecchio in modo pesante, corposo, al punto da non poter distinguere quello che tra una traccia e l’altra dovrebbe essere il respiro silenzioso dell’album.
Qui non c’è respiro, non c’è silenzio. “Megalöklift” è acqua fino al collo, un continuum di rumorismi e potenze di confine: dal punk per ebbrezza e predisposizione allo scontro, al post-hardcore, per l’attitudine di uno stile indomabile, sgualcito eppure giocato su un tappeto organizzato e compatto.
Dopo un paio di EP che l’avevano detta lunga sulla capacità del gruppo veronese, ora quest’album conferma l’incendio doloso che questa band sta appiccando nell’entroterra della nostra canzone.
Dalla stravaganza sonora di “Nirvana” ad una manciata di sputi come “Psycho”, quaranta indomabile secondi di euforia. Suoni che mordono perché sanno farlo. Tecniche che si lanciano ai limiti della sperimentazione, ai limiti dell’alternative; ritmi che si interrompono con continui cambi, volgendosi a nuovi input, tanto impossibili da quantificare e legittimare. E puoi solo ascoltare. Come in “Odo Eye Wu”, una manciata di secondi che gridano, sbraitano, mordono i polsi e cambiano strada spaesando l’ascolto già di per sé instabile. Tutto inquieto, da “Goa” a “L'ago che succhia e sputa”, nelle sonorità introverse, in quel basso martellante tipicamente wave, in quell’impulso che manda baci a abbracci a chi negli anni novanta ha avuto il coraggio di guardare allo specchio il suono della decadenza moderna.
Chi urla, chi scalcia, chi bestemmia credendo di essere dio, chi si azzuffa nell’amarezza della povertà -ché abbiamo bisogno di sfogarci in qualche modo. In quest’album c’è tutto e di più, una melassa indomabile e violenta, un respiro profondo fino a toccare lo sporco, in un caos personale che l’estate proprio non merita.