Riporto alla lettera un articolo trovato sul web. L’argomento è molto inquietante, le deduzioni che se ne possono trarre ancora dippiù: un regolamento governativo, che entra in vigore il primo maggio 2008, inserisce gli impianti per la produzione di energia nell’elenco dei luoghi da coprire con il segreto di Stato. Le considerazioni da fare sono molte, o forse poche: che sia un primo atto della lobby nucleare?
L’analisi, di Enzo Mangini (risalente al 23 aprile 2008), è forse appena spigolosa e molto capillare, ma probabilmente vale la pena di essere pazienti e leggere fino in fondo, visto che difficilmente ne sentiremo parlare dai grandi canali di informazione.
Allegato 1, punto 17: «Gli stabilimenti civili di produzione bellica e gli impianti civili per produzione di energia ed ogni altra infrastruttura critica». L’allegato integra l’articolo 5, «Materie di riferimento», del regolamento adottato dal consiglio dei ministri lo scorso 8 aprile. Il regolamento è stato pubblicato sulla gazzetta ufficiale del 16 aprile ed entrerà in vigore il primo maggio. Il testo è stato adottato sulla base dell’articolo 39 della legge 124 del 3 agosto 2007, tradotto in italiano è la legge che ha riorganizzato i servizi di intelligence: Sismi e Sisde sono stati sostituiti dall’Agenzia informazioni e sicurezza interna [Aisi] e dall’Agenzia informazioni e sicurezza esterna [Aise]. L’articolo 39 prevedeva, appunto, un regolamento per definire il segreto di stato e stabilire quali siano le materie che possano rientrarvi.
Fin qui niente di strano: tutte le democrazie «mature», soprattutto dopo l’11 settembre 2001, hanno riorganizzato, chi più chi meno, i propri servizi di intelligence. E’ strano però proprio il punto 17 dell’allegato 1. Perchè gli «impianti civili per la produzione di energia» [ele altre «infrastrutture critiche»] debbano rientrare nei «Criteri», esposti all’articolo 3 del regolamento? Testualmente: «Possono costituire oggetto di segreto di Stato le informazioni, le notizie, i documenti, gli atti, le attività, i luoghi ed ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recare un danno grave ad uno o più dei seguenti interessi supremi dello Stato: L’integrità della Repubblica, anche in relazione ad accordi internazionali; la difesa delle Istituzioni poste dalla Costituzione a suo fondamento; l’indipendenza dello Stato rispetto ad altri stati e le relazioni con essi; la preparazione e la difesa militare dello Stato». Il comma due dello stesso articolo, precisa che per valutare questo eventuale danno, «si tiene conto delle conseguenze dirette ed indirette della conoscenza dell’oggetto del segreto da parte di soggetti non autorizzati, sempre che da essa derivi un pericolo attuale per lo Stato». Il pericolo, quindi, deve essere «attuale», cioè non solo possibile o probabile. Ma «l’attualità», in tempi di al Qaida, è un criterio molto elastico, tanto più che a valutare, caso per caso, eventuali richieste di apposizione del segreto di stato è il Dipartimento delle informazioni per la sicurezza [Dis], che coordina l’Aisi e l’Aise, cioè quegli organi che «valutano» le eventuali minacce.
Il regolamento precisa che, se un luogo viene considerato [dal presidente del consiglio dei ministri] tanto importante da giustificare il segreto di stato, i controlli su quel luogo passano immediatamente dall’Asl locale e dai vigili del fuoco a «autonomi uffici di controllo collocati a livello centrale dalle amministrazioni interessate che li costituiscono con proprio provvedimento». Il personale di questi uffici, munito del nulla osta di sicurezza al massimo livello, non ha alcun obbligo di comunicazione verso le aziende sanitarie locali e il Corpo dei vigili del fuoco, «a cui hanno, comunque, facoltà di rivolgersi per ausilio o consultazione». Fin qui, in sintesi, la struttura del provvedimento. L’Allegato spiega quali possono essere le materie su cui il governo può decidere di far calare il sipario del segreto. Quasi tutte sono «ragionevoli» [funzionamento dei servizi di intelligence e delle forze armate, per esempio, o misure di sicurezza per i capi di stato], salvo il punto 17: centrali civili e altre infrastrutture critiche. Il testo è [volutamente] vago: delle centrali e delle altre infrastrutture, cosa deve essere segreto? L’ubicazione? La progettazione? I sistemi di protezione? I costi? I criteri di scelta? E quando scatta il segreto? In fase di approvazione del progetto? A struttura ultimata? Domande da girare al prossimo governo che dovrà tradurre queste norme in atti amministrativi specifici. L’attenzione, però, è quantomai necessaria. Se infatti le norme di questo regolamento si possono incastrare con quelle della Legge obiettivo, che tornerà a far sentire i suoi effetti dalla Val di Susa allo Stretto di Messina, passando per Vicenza, il risultato potrebbe essere che tutto ciò che riguarda le Grandi opere che il nuovo governo si prepara a varare, potrebbe essere coperto con il segreto di stato. Tanto più se si tratta, per esempio, delle centrali nucleari che aziende come Enel, Edison e A2A stanno «spingendo» a più non posso o del deposito unico nazionale di scorie nucleari che la Sogin non è riuscita a realizzare a Scanzano jonico, ma che è una precondizione indispensabile per poter riaprire il capitolo dell’atomo italiano. L’elenco delle «infrastrutture critiche» che potrebbero essere coperti con il segreto di stato è lungo: rigassificatori, discariche, inceneritori, gasdotti, centri petroliferi, porti, i nuovi edifici per il G8 alla Maddalena e via dicendo. Più che gli attacchi terroristici, però, sembra che il pericolo sia la «curiosità» dei cittadini. (www.carta.org)