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Giovanni Paolo II, il Papa venuto da lontano

Era il 2 Aprile 2005, un anno fa esatto, quando il portavoce vaticano Joaquin Navarro Valls annunciò ai circa centomila fedeli presenti in piazza San Pietro il decesso del Papa polacco. Un calvario durato circa due mesi, da quando cioè il primo febbraio dello stesso anno venne ricoverato d’urgenza al Gemelli di Roma per una laringotracheite acuta e crisi di laringospasmo. Periodo durante il quale Karol Wojtyla non è mai venuto meno al suo apostolato portando e accettando con la fede più totale quella croce che ogni cristiano è chiamato a sopportare: totus tuus era il suo motto, un’espressione di devozione ma anche qualcosa di più. Una regola di vita, un atto totale di fede e quindi un modo di porsi di fronte al mondo.

Ma il suo, fin dall’inizio, fu il cammino tipico di coloro che sembrano avere un destino già scritto. Aveva solo 58 anni quando il 16 ottobre 1978 venne nominato successore di Pietro tradendo le aspettative di molti che certo non credevano che dopo 455 anni potesse essere eletto un pontefice non italiano. Ma riuscì subito a superare le diffidenze con quella frase oramai rimasta nella storia: “se mi sbaglio mi corigerete!”. Da allora il suo calarsi nel mondo e tra la gente e divenuto un marchio distintivo del suo pontificato. Ne sono testimonianza i circa cento viaggi che lo hanno visto presente praticamente ovunque, al fianco dei più deboli, dei giovani per i quali ha istituito la Giornata Mondiale della Gioventù, laddove c’era bisogno di dialogo, di un “ponte” tra nazioni e religioni diverse e sotto il segno dell’ecumenismo. Cercava il loro sorriso, i loro cuori, il loro abbraccio e il loro calore. Lui che conobbe anche il duro lavoro di manovale in una cava di calcare portò ovunque la sua semplicità e la sua speranza. Quella speranza e quell’energia spirituale che egli stesso forse cercava in questa gente. E soprattutto nelle giovani generazioni “futuro e speranza della Chiesa”. Proprio ad esse il Papa venuto da lontano ha lasciato in eredità le armi della fede e dell’amore con le quali egli stesso ha combattuto la sfida dei tempi moderni. Accogliendo presso di sé capi di stato e dittatori, politici e gente comune. Avendo il grande dono del perdono e la fervida umiltà di chi sa riconoscere le colpe e gli errori della propria Famiglia. Opponendosi con fermezza e convinzione a qualsiasi forma di sopraffazione e di dominio dell’uomo sull’uomo. Per molti è stato il Papa della svolta per altri un pontefice conservatore. Al di là però di qualsiasi posizione o schieramento, che alla fin fine lasciano il tempo che trovano, rimane oggi un gran vuoto. Come se fosse venuto a mancare un nostro caro, un punto di riferimento a cui aggrapparsi nei momenti di difficoltà e con cui gioire in quelli di giubilo. Come se in questo torpore generale che avvolge il nostro mondo non si sa più a chi rivolgersi per cercare una parola di conforto, oppure un semplice sorriso o un abbraccio. Ma se è vero che se ne è andato passando a miglior vita, il suo messaggio di amore e di speranza rimane. “Cosa significa amare. Uno di voi mi chiede, secondo Lei cosa vuol dire, per noi giovani, amare?...amare autenticamente da cristiani significa oggi tante volte andare contro corrente, essere uomini schietti che dicono male al male e bene al bene e con coraggio scelgono contro la maniera comune di far equivalere amore e sesso, validità e successo, autenticità al look o apparenza...è donarsi agli altri in atteggiamento di disponibilità, di accoglienza, di aiuto… amando sul serio acquisterete l’intelligenza e la cultura dell’amore, la correttezza nel vedere le esigenze e la concretezza del donarsi..”.

 Simone Grasso

Primo Piano

 Articolo letto 386 volte. il 02 Apr 2006 alle 12:21
 
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