Elogio apocalittico degli anni ‘60, da Platone ai 33 miti dei Beatles
di Chiara Poletti 22/11/2007 - Un passaggio di pochi decenni, ha stravolto le regole della musica contemporanea, e non solo il download gratis su muletti vari, ma un vero e proprio new style dei concetti del bello, a cui Platone non avrebbe dato il suo nullaosta. I filosofi oggi dicono che il bello (arte, architettura, politica) non c’è più, è l’apocalisse del tempo e del potere. Magari non direttamente Sgarbi o Cacciari che pur ha studiato bene l’Apocalisse di Giovanni, ma altri docenti di estetica intervenuti qua e là in convegni vari nella “mia” provincia, Università IUAV di Venezia, Padova, Bologna, Statale di Milano, concordano nel dire che l’era del bello (interiore e quindi estetico-filosofica) è morta defunta. Quando? Con la rivoluzione industriale, in parole povere, nell’epoca di transizione tra l’era moderna e contemporanea. Beh allora aggiungiamoci la musica, perché – e ne cito uno per tutti- Ernesto Assante o Gino Castaldo (Repubblica) autori del bel libro 33 Dischi senza i quali non si può vivere, (un viaggio in cinquanta anni di musica del passato da Presley agli U2..) non hanno 20 anni, ma sanno leggere l’attualità. Perché è il loro mestiere e perché il libro si vende. Per cui resta il dubbio, non esiste nessun bravo “divulgatore-catalizzatore” delle produzioni della musica più “fresca”, o ai “vecchi” non piace proprio fare amicizia con il nuovo? Sono i Negramaro il futuro? Va a ruba l’autobiografia di Carmen Consoli o quella di Guccini? Non lo so. E’ solo un esempio!!! (direbbe un comico di Zelig). Del resto la musica degli anni 60, che ha messo in scena con ottimi consensi, Shel Shapiro, storico leader dei Rokes dopo 15 anni di silenzio, con un revival teatrale sulle colonne sonore dei miti del tempo (dal rock melenso dei Platters al rock di Buddy Holly, Jerry Lee Lewis a Dylan, Beatles) si colloca nel pieno della riflessione in occasione di un altro evento, questa volta cinematografico, di cui tutti, bene o male, parleranno: il nuovo film della regista di Frida, sulle 33 migliori colonne sonore appunto dei Beatles, Across The Universe che esce ora (in realtà un musical … con la scusa di una storia d’amore che passa tra Abbey Road e un campo fiorito) con le scenografie del coreografo dei Momix, Daniel Ezralow. Un film-evento attesissimo e per il quale un cinema sempre della “mia” provincia si è trovato nel pieno caos, per accontentare chi ha percorso 80 km di Statale Adriatica tra i camion per vederlo 24 ore prima dell’uscita ufficiale (che sarà venerdì 23 novembre). Qui in Romagna almeno è successo così. Un po’ come lo sbarco della Luna, “io c’ero” lì incollato davanti allo schermo tv fino all’alba, diranno. Beh lasciamoglielo fare visto che oggi Liverpool & Co è sempre più lontana, e domandiamoci piuttosto che fine ha fatto la musica trascinante della piazza che urla libertà dai padri, dalla politica, dai privilegi, che declama pace e diritti per tutti i giovani italiani, e se non riusciremo a trovarla nell’arte, nella politica e nella musica così astratta (se lo domanda in questi giorni in occasione del suo ultimo romanzo, la scrittrice Paola Mastrocola) almeno sogniamola come un cinescoop. Un film virtuale che dialoga bene con la piazza del web. In attesa della discesa dello Spirito Santo che ci salvi da chi si è arrogato il diritto di incitare al comando gli alieni: “voce del verbo alienazione”. Se quello che si sente, quello che si prova (il bello cognitivo) è intimista ma non più condiviso, forse nel 2050 leggeremo tutto questo nei libri di storia alla voce generica “rivoluzione …del web”. Almeno questa è una delle tesi, di questi scrittori, storici e filosofi del nostro tempo, ma confutabile forse dai giovanissimi musicisti, artisti e scrittori che stanno “a bagno” nell’anno zero, il 2008.
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