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Dade

Il tappeto dava un tono all'ambiente

di Pierluigi Lucadei

Non era semplice dispersione di colore la pittura di Jackson Pollock. Piuttosto l’inesattezza di tante disperazioni che scandiva ogni ordine estetico e morale. Compressione di forze sopra un vuoto orizzontale, in perenne attesa dello slancio, della frenesia creativa, della febbre. Pollock vedeva le forze che tendevano l’umano – e il dolore dietro le tensioni – e rendeva il tutto sotto forma di paradossi. Danzare ad un passo dall’impersonalità, sgocciolio di colore su colore, astrazione da un volto che grida.
Se nell’inesattezza si ha l’ardire di vederci intrusioni mirate nella non-forma dell’umano percepire, si può provare ad esultare nel caos. Ad esultare del caos.
Capita di rannicchiarsi dentro l’angustia dell’ortodossia, ogni tanto capita di essere pigri, ma la comodità è agli antipodi degli intenti più autentici di qualsivoglia forma d’arte. Dade si butta nel turbine, come Pollock. Lascia che il colore cada e si faccia disperazione già in volo, prima ancora di toccare terra. La scintilla gli balena in testa in un porco momento della sua vita. Si trasferisce in un granaio con computer, basso e chitarra e inizia a suonare per venti ore al giorno. Poco propenso a ragionare per generi, segue la musica, salta qua e là, danza attorno al quadro, non calcola gli schizzi, schizza e basta. Se a questo aggiungiamo il fatto che a Drugo Lebowski hanno rubato il tappeto di casa e che il tappeto dava un tono all’ambiente…

Antianti è l’opera informale di Dade, bassista dei Linea 77. Due volte anti, doppia negazione, per negare anche la negazione, per essere contro anche a tutto ciò che è contro. Antianti è un progetto che da noi ancora non si era visto. In Inghilterra forse sì (ricordate U.N.K.L.E.?), ma è qualcosa più di un miracolo che un disco di questo tipo, con collaborazioni di questo tipo, con qualità di questo tipo, sia uscito in Italia. Dentro “Il tappeto dava un tono all’ambiente” c’è musica che piacerà a chi annovera, tra gli album preferiti degli ultimi anni, “Glee” dei Bran Van 3000 e “Push The Button” di Money Mark, oppure certa roba di certi poliedrici musici del Sol Levante. Quelli che amano schizzare danzando attorno al quadro.
Dade indica traiettorie – strade che qualcuno ha addentato, che qualcuno addenterà – che a volte riescono ad assumere forma compiuta, e quando capita i risultati sono smarcanti e notevoli (The old girl’s spite con Miss Violetta Beauregarde e L’assassina coi Cor Veleno).
C’è la ballata polverosa: Him in me con la voce di Gionata dei Super Elastic Bubble Plastic, band sempre più in salita dalla palude dell’italico indie, e la cantilena di chitarra di Arturo Bandini. C’è Fibra che fa il suo in Pain, con rime di schianto («la prossima generazione è già in provetta/la prossima canzone sarà più schietta/la gente questa roba non la fischietta/e non la rispetta neanche la mia etichetta»), e c’è Samuel che canta quello che sarebbe potuto essere il singolo dell’estate, Tokai, se il disco non fosse uscito a estate finita. Ci sono sgocciolature fatte da Dade in solitudine nel granaio e rimaste tali, su tutte Natale 2004, posta in apertura, giocattolo canzone o canzone giocattolo, sigletta bambina o amarezza della festa.
E poi c’è Picciotti della benavita, il brano migliore, travolgente messa in scena di Caparezza che traveste da gangster i politicanti senza scrupoli dei giorni nostri e regala un capolavoro di ironia, un irresistibile sberleffo («siamo finiti dentro/sì ma dentro il parlamento/tra una legge e un emendamento/di sicuro non ci prenderanno»).


Etichetta: Metatron
Brani: Natale 2004 / Live Fast Die Young / Camonchia pensa che questa tracklist sia controproducente / Picciotti della benavita (feat. Caparezza & Diegone) / A Unga A Unga / L’assassina (feat. Cor Veleno) / Ma è vero che vi siete sciolti? / The old girl’s spite (feat. Miss Violetta Beauregarde) / Him in me (feat. Gionata & Arturo Bandini) / C.B. loves electronic music / Pain (feat. Fabri Fibra & Diegone) / Il sassofonista su Vine street… / Spara(mi) (feat. Primo & NSG) / Tokai (feat. Samuel & Veronica)
Produttore: Dade



Appendice N.1 (Drugo): Nel lontano ovest conoscevo un tipo, un tipo di cui voglio parlarvi. Si chiamava Jeffrey Lebowski, o almeno cosi l'avevano chiamato gli amorevoli genitori, ma lui non se ne serviva più di tanto. Jeffrey Lebowski si faceva chiamare "il Drugo". Già, Drugo! Dalle mie parti nessuno si farebbe chiamare cosi. Del resto, con Drugo, erano parecchie le cose che non mi quadravano, e lo stesso vale per la città in cui viveva... però forse è proprio per questo che trovavo tanto interessante quel posto. La chiamavano "Los Angeles", la città degli angeli. A me non sembrava che il nome le se addicesse molto, anche se devo ammettere che c'era parecchia gente simpatica. Certo, non ho mai visto Londra, e non sono mai stato in Francia, e non ho neanche mai visto la regina in mutande, come dicono alcuni, però posso dirvi una cosa: dopo aver visto Los Angeles, e vissuto la storia che sto per raccontarvi... beh... penso di aver visto quanto di più stupefacente si possa vedere in tutti quegli altri posti, e in tutto il mondo, perciò posso morire con un sorriso... senza la sensazione che il signore mi abbia fregato. La storia che sto per raccontare è successa nei primi anni novanta, nel periodo del conflitto con Saddam e l'Iraq. Lo dico solo perché a volte si incontra un uomo, non dirò un eroe, perché che cos'è un eroe? Ma a volte si incontra un uomo, e sto parlando di Drugo, a volte si incontra un uomo che è l'uomo giusto, al momento giusto, nel posto giusto, là dove deve essere. E' quello è Drugo... a Los Angeles. E anche se quell'uomo è un pigro, e Drugo lo era di sicuro, forse addirittura il più pigro di tutta la contea di Los Angeles, il che lo mette in competizione per il titolo mondiale dei pigri, ma a volte si incontra un uomo... a volte si incontra un uomo... ahhh... ho perso il filo del discorso... bah, al diavolo! E' più che sufficiente come presentazione.

Appendice N.2 (Dade – Antianti): Amo vivere i ‘momenti di confine’ in cui la sfacciataggine diventa imbarazzo, in cui le parole diventano pugni, in cui gli sguardi diventano baci. Odio chi parla troppo; le ragazze che vengono a parlarmi dopo il concerto iniziando il discorso con “sai, a me non piacete, sono qui perché mi ci ha portato un’amica”; odio non avere niente da fare. Amo sentirmi sottopressione, ho paura delle responsabilità ma le affronto con sfrontatezza… quando scappo da loro è perché so che posso farlo. Un paio di volte non potevo ma ho fatto finta di niente. “Ciò che non ti uccide ti fortifica” è la mia frase fatta preferita, dopo “Sì, mi piacciono i Cure, ma solo i primi album”. Odio vivere in una nazione di rincoglioniti, dove, ancora oggi, la maggior parte della gente non ha capito che nei fast food, alla fine del pranzo, si deve svuotare il proprio vassoio dentro l’apposito recipiente (l’ho notato oggi al Burger King). Ho ribrezzo della discografia italiana, che solamente nel 2006, si è accorta dell’esistenza dell’hip hop nel nostro paese. Odio Fabri Fibra (non è vero, mi sono messo d’accordo con lui per dirlo, almeno la ‘comunicazione’ dietro al suo personaggio ha uno spazio anche qui dentro). Amo guardare i concerti da seduto, e dopo quindici anni sui palchi ho maturato la voglia di cominciare anche a farli. Sono il bassista dei Linea 77, e la mia band è la mia vita. Ho iniziato a fare delle cose da solo perché ne sentivo il bisogno, non perché mi ero stancato dei Linea 77. No, non ci stiamo sciogliendo. No, come artista non sento la responsabilità di quello che si dice nelle mie canzoni. No, non sono mai sceso a compromessi con le major, purtroppo! No, non ho soldi per fare dei video come si deve. Sì, li farò con gente che li fa per passione…


 Pierluigi Lucadei

in Vetrina

 Articolo letto 2161 volte. il 01 Nov 2006 alle 15:28
 
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