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Fondazione Libero Bizzarri

Festival Bizzarri, A PROPOSITO DI NICCHIE E DI CHI NICCHIA

27/03/2009 - Leggiamo sul Corriere Adriatico in un articolo che tratta dei “presunti” finanziamenti a pioggia del Comune di San Benedetto del Tronto alle associazioni, fondazioni e derivati: “…alla necessità di rivedere certi appuntamenti, come lo stesso festival del documentario che negli ultimi anni è diventato un evento di nicchia che probabilmente va ripensato nella sua programmazione”, e ci permettiamo di fare alcune considerazioni.

È indubbiamente vero che negli ultimi anni il Festival è diventato ancor di più un prodotto di nicchia, ma lo è sempre stato, dalla nascita, fin da quando chi lo ha inventato ha inteso buttarsi a capofitto nel documentario e non nel cinema di finzione. Il cinema documentario è già di per se un prodotto di nicchia (vedere gli incassi al botteghino per credere), a meno che non lo diriga un signore che si chiama Michael Moore, allora il discorso cambia. In Italia i documentari non vengono proiettati nelle sale cinematografiche ma, al massimo, visti in televisione dopo la mezzanotte, come i film d’essai proposti da Enrico Ghezzi. Si desume che non è il Festival Bizzarri un prodotto di nicchia, ma il genere che propone, il tanto vituperato documentario alle cui forme, ormai, attingono tutti, da Matteo Garrone a Gus Van Sant, ad esserlo. A meno che per prodotto di nicchia non si intendano le presenze alle proiezioni e alle sezioni del festival, allora cambia tutto, ma neanche tanto, visto che nel nostro caso si dovrebbe rivedere alla radice il concetto di “nicchia”. Lo scorso anno due sezioni del Festival, “Il nostro tempo è ora” e “MediaEducazione” hanno fatto registrare il tutto esaurito, al Kursaal di Grottammare e all’Auditorium del Comune di San Benedetto del Tronto (chi c’era può testimoniarlo, gli assenti hanno sempre torto). Particolare non trascurabile, gli “spettatori” e i partecipanti ai concorsi provenivano da ogni parte d’Italia. Hanno vissuto per alcuni giorni fra San Benedetto e Grottammare attivando un discreto indotto turistico (gli albergatori possono sempre mostrare il registro delle presenze). Le sezioni del Premio? Per queste occorre fare un distinguo. Quella del Concorso principale ha fatto registrare presenze notevoli; le tre serate infrasettimanali, che avevano tre temi di “nicchia” come le morti sul lavoro, le guerre nel mondo con il premio a Pino Scaccia, e la devastazione dell’Africa, sono state tre serate dignitosissime nella loro sobrietà, diremmo quasi “pudore”. Unico neo, le proiezioni pomeridiane e mattutine, peraltro in contemporanea con altre sezioni che, se il Festival avesse i finanziamenti auspicabili, ospiterebbero “accreditati”, cioè gente che ama il cinema, lo fa e ci scrive su, come Pesaro, come Venezia, come Roma, come Cannes, come Berlino per non parlare di Bellaria, a quattro passi da noi. A meno che per Festival  di “nicchia” non si intenda la mancata presenza di ospiti “famosi” (a parte le veline che qualche problema d’immagine e di coerenza ce lo porrebbero). Anche in questo caso si dovrebbe aprire un fronte di discussione che non porterebbe a nulla visto che come sanno gli organizzatori di Miss Italia (ad esempio), gli ospiti costano e anche tanto. Eppure ogni anno il Bizzarri ha ospitato fior di professionisti, conosciuti solo agli addetti ai lavori? Non è vero neppure questo, visto che stiamo parlando di Peter Greenaway, di Carlo Lizzani, di Michelangelo Antonioni, di Citto Maselli, di Francesco Rosi, di Villi Hermann, di Manoel De Oliveira e l’elenco sarebbe lungo oltre che stucchevole. Gli ospiti costano, e tanto e, possiamo assicurarlo, una presenza al Bizzarri si avrebbe anche a un prezzo di favore considerato il prestigio di cui il Festival gode e non solo in Italia. Ma la Fondazione non ha la possibilità materiale di pagare biglietti aerei e sostanziosi cachet (si parte dai 5000 euro in su), per quella che alla fine sarebbe solo una comparsata buona per qualche articolo in più oltre i sei chili di rassegna stampa che, nonostante tutto, un prodotto di nicchia come il nostro ha a fine anno. Vorremmo ricordare, qualora qualcuno lo avesse dimenticato, che il Festival del 2008, dedicato a un tema di nicchia come i “diritti umani”, ha avuto una madrina d’eccezione che risponde al nome di Rigoberta Menchù che ha un unico difetto:  non somiglia affatto a Belen Rodriguez. Ma da un premio Nobel non si può pretendere anche un fisico da urlo. O no?


 Redazione 

Cultura e Spettacoli

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