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"Vuoi una repetto?" (foto Pierluigi Lucadei)

Un disco anonimo, perché alcolista: intervista a Morgan

di Pierluigi Lucadei

Morgan è un vulcano di idee, di ironia, di scherzi, di talento. Un’intervista con lui finisce per diventare piacevole quanto i suoi concerti, che sono sempre diversi, senza una scaletta decisa in partenza, e possono contenere di tutto, teatro-canzone, Battiato, “Aria” e “The baby”, le ballate di “Non al denaro non all’amore né al cielo”, Bruno Martino, Rita Pavone, i Doors e Piero Ciampi. I capelli lunghi ben oltre le spalle gli donano un’aria sinistra che lo rendono vagamente somigliante, lo prenderà come un complimento, all’Asia Argento sedicenne di “Trauma”. Gioca con una candela che più tardi appoggerà sul pianoforte per accendere le numerose sigarette che fumerà durante lo show.
Il suo nuovo disco è quasi pronto e lui ce ne parla a ruota libera, finendo spesso sopra le righe e lasciando via libera a continue risate. L’intervista inizia su un letto con lenzuola nere, si sposta poi davanti ad uno specchio e infine su delle sedie.

Ti va di parlare del tuo nuovo disco solista?
Certo, l’argomento è ancora fresco e per molti versi complicatissimo. Ormai sono al 90% della realizzazione, ma il concepimento è avvenuto. Sai, fare un disco è un processo che consta di una prima fase di creatività libera, fatta di idee caotiche, poi tutto deve avere un senso, un senso generale: questa è la fase in cui bisogna lavorare sull’amalgama, non solo dei suoni ma anche dell’oggetto testuale. Tutti i dischi che ho fatto, per esempio, sono più o meno dei concept. Io vedo l’album come un’occasione per raccontare qualcosa di lungo, mi piace dilungarmi, mettere canzoni vicine senza collegamenti mi dà l’idea di compilation, non di album.
Quindi dobbiamo aspettarci un lavoro molto lungo?
Assolutamente sì. Inizialmente doveva essere un doppio album. La mia idea era quella di un doppio in due step. Volevo far uscire un disco doppio, con la confezione tipica di un disco doppio, ma con dentro un disco solo, poi dopo qualche mese far uscire anche il secondo disco e chi fosse andato al negozio con la confezione del primo disco avrebbe potuto avere il secondo.
Molto interessante…
Sì, ovviamente la casa discografica non ha voluto. Il disco diventerà un singolo, con circa 18 brani, con molte canzoni scartate, ma per me rimane un disco doppio, un disco doppio mancato.
Musicalmente che disco sarà?
Molto orchestrale, sinfonico, senza che questo tolga nulla a Le Sagome, che è il gruppo che mi accompagna, un insieme di musicisti che ho preso tra la fauna degli artisti italiani privilegiando come criterio di scelta la follia. Ci sarà fox trot, almeno tre brani fox trot, e ci sarà il tango. Ha suonato con noi l’Orchestra del Teatro Regio di Parma, con all’arpa Cecilia Chailly, che è un’artista eccezionale, figlia di Riccardo Chailly, grande direttore d’orchestra, e al violoncello Giovanni Sollima. Asia canterà in un pezzo, di cui è autrice del testo, mia figlia (Anna Lou, nata dalla storia di Morgan con Asia Argento, nda), che ormai ha cinque anni, canterà in un altro.  Un pezzo l’ho scritto con Dario Ciffo (Lombroso, Afterhours). Sarà un disco molto libero, il più estremo che abbia fatto. Per “Canzoni dell’appartamento” avevo deciso a priori le sonorità, per questo disco invece ho fatto l’operazione inversa, ho abbattuto tutti gli steccati e dentro sarà possibile trovarci elementi di straordinaria diversità. Classicismo e sperimentazione lotteranno continuamente tra loro. Mi sono ispirato a Leonardo Da Vinci (si comincia a ridere, nda), sì, ai suoi studi sulle macchine. Credo che una canzone sia una macchina, una macchina che deve portare l’acqua. Portare l’acqua rappresenta la soddisfazione che una canzone può darti, tutto sta ad inventarsi il meccanismo che permetta di portare l’acqua. Scrivere una canzone è tutto un sistema di corde, di ruote dentate… (appena torna un po’ di serietà, provo con un’altra domanda, ma dura poco, nda)
Il disco ha già un titolo?
Sì, ma non posso dirlo, perché il disco deve mantenere l’anonimato, essendo alcolista. Vediamo, è un disco alcolista… Aspetta, posso dirti il sottotitolo, che va tra parentesi: “(Teoria delle catastrofi)”. Per il titolo gli indizi li ho dati, se qualcuno è bravo ad indovinare… è un rebus da risolvere, il rebus dice così: il disco è anonimo perché alcolista.
”Non al denaro non all’amore né al cielo” in percentuale voleva essere più un omaggio a De Andrè o a Masters?
Non è un omaggio, semplicemente perché a me piace tributare persone in vita, in modo da poter avere anche un loro punto di vista. L’ho fatto per esempio con Franco Battiato.
A proposito, “Prospettiva Nevskij” (i Bluvertigo la reinterpretarono nel tributo “Battiato non Battiato” del 1995) la suoni mai dal vivo?
Qualche volta sì, ma non spesso, perché sono molto legato alla versione fatta con i Bluvertigo, la sento molto legata a quel suono. Battiato ha definito la nostra versione «subdola».
In una recente intervista Francesco Bianconi dei Baustelle mi diceva che la canzone “Un romantico a Milano” nelle sue intenzioni voleva essere una presa per il culo di certi ambienti artistici milanesi, anche musicali, e dell’artificiosità di certe pose bohemien a tutti i costi. Tu che conosci bene quegli ambienti, trovi che sia una critica fondata?
(Si è spostato davanti allo specchio e inizia a radersi con un rasoio elettrico, nda) Di chi parlava, scusa? Lui non è milanese, vero? Parla così perché non è milanese. Dove sono i bohemien? Io dico: magari ce ne fossero, ma non ce ne sono.
In un’intervista con Paolo Benvegnù invece è venuto fuori che lui ti ammira molto e ti invidia la capacità di rendere sempre i tuoi sentimenti con leggerezza. La leggerezza è voluta o fa parte del tuo modo di essere?
Mi fa piacere che Paolo pensi questo di me, tra l’altro lui è un amico. Io però non credo di essere particolarmente leggero. Più che di leggerezza io parlerei di autoironia, e allora sì, posso dire di essere autoironico, ma sinceramente non credo di essere leggero.
Noto che sul pubblico hai spesso un effetto irritante. Dipende solo dal fatto che componi musica parecchio concettuale, e l’idea attorno a cui è costruita una canzone può, a seconda dei casi, illuminare o irritare?
Più che le parole illuminare o irritare, io userei in ritardo. Il pubblico è in ritardo, pare abbia difficoltà a reagire, a volte quando ascolta una cosa sembra quasi che abbia bisogno di tornare a casa per pensarci (ride, nda). Davvero, credo che nessun popolo al mondo sia un così grande ammasso di pecoroni come il nostro. Basta solo vedere la politica degli ultimi cento anni. Manca l’originalità, l’unica cosa che conta è il calcio, questo cazzo di calcio. Io sono uno che non riesce a capir cosa ci sia di tanto bello nell’essere identici ad altri. Quindi se qualcuno fa qualcosa di diverso finisce per irritare, ma purtroppo è così, gli italiani non riescono a rinunciare a stare nel gregge. (ci spostiamo su due sedie di legno un po’ scorticate, Morgan deve mettersi le scarpe, ma inizia a fissare le mie Puma Miharayasuhiro gialle, nda) Cazzo, belle le tue scarpe, facciamo a cambio? Ti do le mie Repetto!
Eh, è un po’ difficile, io ho il 46…
Allora mi metto le Repetto.
Un’ultima cosa: visto che hai scritto la colonna sonora per il film tratto da “Ingannevole è il cuore più di ogni cosa”, volevo sapere che opinione ti sei fatto in merito alla truffa J.T. Leroy?
L’ho sempre saputo, cioè… l’ho sempre sospettato, semplicemente perché questa persona non si esprimeva da letterato, secondo me non poteva aver scritto lui il libro, che io avevo letto anche se non mi era piaciuto molto, e ci ho azzeccato. Ho incontrato questa persona a Milano, in occasione di una presentazione, e ricordo che, quando era in difficoltà, si metteva a piangere, o ad insultare il pubblico, tutti atteggiamenti che non mi convincevano affatto. Il libro non è “Oliver Twist” ma è pur sempre un libro e per scrivere un libro un minimo di alfabetizzazione ci vuole, lui invece era così ignorante.

Qualche battuta sul 23 dicembre, poi lascio che Morgan finisca di prepararsi, fra qualche minuto deve andare in scena e deve ancora truccarsi… sì, ma la matita non la uso più, sennò mi vengono i calazi!


«anticipando tutti i tempi/rischiandone le conseguenze»


 Pierluigi Lucadei

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