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"Bobby" (USA, 2006) |
“Bobby” di Emilio Estevez
“Bobby” è l’opera sorprendente del redivivo Emilio Estevez, un’opera corale a metà strada tra l’affresco alla Robert Altman e il film ideologico alla Oliver Stone. Nel ’68 gli Stati Uniti – come del resto l’Europa – attraversano un periodo molto delicato. Bob Kennedy viene visto come il volto nuovo in grado di cambiare una situazione di crescente violenza (quella che ha portato nello stesso anno all’assassinio di Luther King) e insoddisfazione nei confronti del conflitto in Vietnam, e di cavalcare gli ideali di amore e pace che si sono diffusi a gran parte della società. L’Hotel Ambassador di Los Angeles aspetta l’arrivo di Kennedy per festeggiare la sua vittoria alle primarie in California. E’ dalla hall, dalle cucine, dalle stanze del lussuoso albergo che Estevez ha deciso di puntare lo sguardo verso uno dei momenti più drammatici di un’epoca unica e di raccontare la Storia attraverso piccole storie. Ha raccolto uno stuolo di attori eccezionali e ha regalato ad ognuno di loro un personaggio pregno di stupenda decadenza. C’è il depresso, il solitario, il fedifrago, il tradito, l’alcolista, e se i volti sono quelli di Anthony Hopkins, William Macy, Sharon Stone, Martin Sheen, Helen Hunt, Demi Moore, Christian Slater, Ashton Kutcher il risultato non può deludere. Sono di una rara forza politica gli insegnamenti di vita del capocuoco nero Laurence Fishburne ai suoi dipendenti messicani, la scelta della bella Lindsay Lohan di sposare Elijah Wood solo per evitargli la chiamata alle armi e poi lo splendido duetto tra la parrucchiera Sharon Stone e la cantante Demi Moore – cinque minuti di recitazione superba che valgono da soli il prezzo del biglietto. Fino alla fine sembra quasi che la vicenda Kennedy sia solo uno spunto per raccontare gli avvenimenti minimi che si rincorrono dentro l’Hotel Ambassador. Fino alla fine, appunto, perché gli ultimi minuti, piene di filmati d’epoca, riescono a commuovere con la semplice verità della Storia, quella con la S maiuscola. Vien da sé che ogni riferimento alla guerra in Vietnam offra inevitabilmente anche una chiave di lettura della nostra attualità. E leggere la storia dell’era Bush con l’occhio compassionevole di Bob Kennedy è un’esperienza da tentare. All’inizio del film, nel discorso in cui annuncia la sua candidatura alla presidenza degli Stati Uniti, il senatore dice di non voler essere un americano se qualcuno può dire degli americani quello che si poteva dire di Roma: «fecero il deserto e lo chiamarono pace». Estevez allo scorso festival di Venezia, quando “Bobby” fu presentato, aveva assicurato che riferirsi all’America di oggi non era nelle sue intenzioni. La sceneggiatura, aveva detto il regista, fu scritta prima dell’11 settembre, ma questo non ci impedisce di declinare al presente la lezione storica di Bob Kennedy, la sua attenzione alle minoranze, ai più deboli, il suo parlare senza mezzi termini di pace e amore.
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Pierluigi Lucadei
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Recensioni |
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il 24 Jan 2007 alle 16:06 |
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