Clap your hands and say yeah + Dr. Dog Live @ Estragon, Bologna
I “Clap your hands and say yeah” sono il gruppo più cool del momento, inutile negarlo. Arrivano in Italia dopo soltanto un album e si portano già dietro il bagaglio di un’infinità di sold out in giro per il mondo e la leggenda di essere riusciti ad emergere dall’anonimato grazie al passaparola tra i blog e grazie al filesharing degli appassionati. Una vera e propria rivoluzione nel modo di concepire la produzione e la distribuzione musicale, un duro colpo alle case discografiche di tutto il mondo. Sì, perché la rivoluzione di cui sono testimoni questi cinque ragazzi di Brooklyn non è tanto musicale, quanto ideologica: di questi tempi non è più il produttore che sceglie quale gruppo produrre e quale no, ma sono milioni e milioni di utenti che da casa scaricano gratuitamente pezzi di band emergenti, ascoltano, valutano e consigliano sui blog. Se il punk negli anni 70 aveva assestato un primo duro colpo alle major con una infinità di etichette indipendenti, oggi internet e il peer to peer sta completando questa rivoluzione iniziata più di trent’anni fa, seminando ancora più il dubbio sulla reale necessità del compact disc come supporto materiale inevitabile in un’epoca in cui iTunes supera i cinquanta milioni di canzoni scaricate. Insomma il passaparola, anche non virtuale, ha fatto in modo di creare una grande attesa per questo gruppo dal nome strampalato e dalle allegre sonorità new wave. L’Estragon è incredibilmente gremito. Salgono sul palco prima i Dr. Dog, un gruppo di Philadelphia di cui si parla un gran bene. Sonorità psichedeliche anni 70, atmosfere beatlesiane, look stravagante, chitarre raffinate e una voce da far drizzare i capelli. Grandi applausi. Breve cambio e salgono sul palco i Clap your hands. Si inizia con “Let The Cool Goddess Rust Away”, con quel suo ritmo ondulatorio e ipnotico. La voce di Alec Ounsworth è sguaiata, tremolante, a volte stridula, ma finisce per incantare ed ipnotizzare. “The Skin Of My Yellow Country Teeth” e “Is this love” costituiscono il momento centrale del concerto. Le chitarre si fanno più punkeggianti, la folla inizia a scaldarsi. “In this house of Ice” è una canzone che affonda le sue radici nella tradizione dei Velvet Underground e Talking Heads, le tastiere e le chitarre si rincorrono mentre la voce di Ounsworth sembra un lamento. I bis sono affidati a “Clap your hands”, un grido gioioso e liberatorio e alla scatenatissima “Heavy Metal”, con quel suo ritmo traballante e quel suono di armonica incerto che si amalgama a perfezione con la voce di Ounsworth. Forse il prossimo anno ci saremo già dimenticati di questo gruppetto che doveva rivoluzionare il rock, ma per stasera battiamo loro le mani e gridiamo un bel yeah!
|