I Pugilatori Creugante e Damosseno di Antonio Canova e il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo: l’inizio e la fine di un secolo, l’Ottocento, ricco di complessità, avvenimenti, stagioni e stili.
Le due statue in posizione da combattimento ispirate nella loro perfezione ai due colossi di piazza del Quirinale ed il proletariato in marcia verso la luce, quasi nell’intento di uscire da quei 5 metri e mezzo di larghezza per 285 centimetri di lunghezza della tela. Le une sulla balconata e l’altro dirimpetto, sopra le scale all’ingresso delle Scuderie del Quirinale a Roma, continueranno a guardarsi fino al 10 giugno 2008 in occasione della mostra “Ottocento. Da Canova al Quarto Stato”.
Come spiega il titolo, le sculture di Canova ed il quadro-manifesto di Pellizza da Volpedo, illustri rappresentanti del Neoclassicismo e del periodo divisionista di fine Ottocento, fungono da estremi temporali di un lungo secolo di cui vengono esposte ben 130 opere di 72 autori italiani prese in prestito, per questa occasione unica, da musei dell’intera penisola ed europei, da collezioni private ed addirittura da musei d’oltreoceano. Si parte dal periodo neoclassicista e napoleonico, per poi attraversare romanticismo, le ricerche “macchiaiole”, naturalismo e verismo, sino alle inquietudini “scapigliate” e simboliste di fine secolo.
Dominano parte dello spazio del primo piano i ritratti composti nei periodi napoleonico e romantico: dal profilo elegante del Generale Desaix al ritratto di Napoleone in veste di presidente della Repubblica Italiana, entrambi di Andrea Appiani massimo esponente delle grandi speranze ed inquietudini dell’età napoleonica. Segue poi l’estrema ricerca del particolare espressa attraverso il drappo, il tappeto e l’imponente arpa del Ritratto di Cristina Trivulzio Archinto di Pelagio Pelagi, opera che diffonde il suo alone romantico attraverso l’azzurro degli occhi del bimbo tra le braccia della contessa. E poi ancora il Ritratto di Anastasia Spini di Giovanni Andrea Carnovali (detto il Piccio), riconoscenza verso la contessa per averlo segnalato come buon pittore e per aver trovato lavoro a suo padre. La tela emana tuttavia un alone malinconico dato dall’accostamento di un passero solitario ai piedi della figura e dalle fattezze quasi maschili del volto intristito e stanco della contessa, reso grottesco da una cuffia e da nastri colorati che le circondano volto e collo. Un guida turistica sofferma l’attenzione degli astanti sulla tela di Francesco Hayez Venere che scherza con due colombe, allegoria mitologica del Ritratto della ballerina Carlotta Chabert. Questo ritratto fu commissionato ad Hayez da parte di un marchese che doveva segretamente omaggiare la sua amante, Carlotta Chabert appunto. Le procaci forme del suo corpo senza veli fanno parte della corrente di nudi femminili che attraversa gli anni trenta dell’Ottocento e che vede come massimi esponenti, oltre ad Hayez, il Piccio e, seppur in misura minore, Giuseppe Molteni di cui è esposta la tela Schiava nell’Harem ove spicca l’ampio copricapo dai toni variegati della donna che scolpisce ed evidenzia la profondità della scena.
Il corridoio prosegue con Il consiglio alla vendetta e Il Bacio, entrambi di Hayez. La prima è una tela di grandi dimensioni che emana attraverso i suoi soggetti e lo sfondo quell’atmosfera veneziana densa di bellezza, intrighi e decadenza. Il Bacio è una delle opere che più si appresta a molteplici interpretazioni: l’incontro coinvolgente tra i due innamorati rappresenterebbe l’atto d’amore da cui nasce una nuova nazione dopo la liberazione dell’Italia dal dominio austriaco. Tuttavia sul trasporto dei due innamorati incomberebbe l’ombra da loro stessi prodotta, a rappresentare il disappunto per il compromesso di Villafranca che lasciava il Veneto nelle mani dell’Austria. Allo stesso tema si ispirò Domenico Induno per Il Bollettino del giorno 14 luglio 1859 che annunziava la pace di Villafranca un insieme di voci e personaggi indignati che reagiscono al bollettino appena diffuso nel milanese. E questa opera sembra segnare la spaccatura tra l’ottimismo romantico ed una delusione sempre più diffusa, di cui i pittori del tempo si fanno sempre più interpreti. Al secondo piano i dipinti sono pervasi da una dimensione che sfocia dal naturalismo sino al simbolismo ed al divisionismo e la pittura cerca di esprimere i territori oscuri dell’inconscio individuale. In Asfissia! il pittore Angelo Morbelli mette in risalto con dovizia di particolari una tavola imbandita illuminata dal bianco della tovaglia. La pistola ed un foglio diventano elementi chiave per capire l’accaduto: nella parte destra del quadro, poco nitida e cupa si intravedono i corpi dei due amanti senza vita. Il tema del suicidio non piacque alla critica del tempo e l’autore decise di scomporlo in due tele. Questa mostra rappresenta l’occasione per vedere le due parti giustapposte.
Le tematiche del verismo sociale prendono sempre più peso negli anni Settanta dell’Ottocento e possono sfociare in un’atmosfera di inquietante attesa su un fronte di guerra come nella tela In Vedetta di Giovanni Fattori oppure in tematiche attinenti al lavoro come in Piazza Caricamento di Plinio Novellini o lotte di classe come in Riflessioni di un affamato di Emilio Longoni dove un uomo osserva con avidità due nitide figure che stanno pranzando attraverso la vetrata di un caffè.
Chiude l’esposizione Sirena di Aristide Sartorio, un incontro dalla sensualità dannunziana ed atemporale tra una sirena pallida appena emersa dall’acqua verde cristallina ed un giovane bruno dalla fisicità muscolosa che proteso dalla sua barca la cinge col braccio quasi a raccoglierla dalle acque.
Se, come disse il pittore Giovanni Segantini riprendendo un celebre detto di Lev Tolstoy, “l’arte deve rivelare sensazioni nuove” e ancora “l’arte che lascia l’osservatore indifferente non ha ragion d’essere”, pittura e scultura italiana dell’Ottocento non hanno deluso l’osservatore.