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Lele Battista, cantautore nel vento

“Le ombre”, il primo album solista di Lele Battista, ex vocalist de La Sintesi, è una delle rivelazioni dell’anno: un lavoro dal fascino magnetico, ricco di soluzioni sempre originali, di stimolanti contrasti (buio/luce, classicità/modernità) e di canzoni che bucano lo stereo (“La voglia di stare con te”, “Tutto strappato”, “Quando mi mento”, “Trieste”). A Lele pronostichiamo e auguriamo un grande futuro e, intanto, cerchiamo di scoprire qualcosa di più su di lui.

Perché hai scelto proprio le ombre come tema portante del tuo primo album solista?
Mi hanno sempre affascinato le ombre, sono una proiezione distorta e oscura della realtà, ma se di un corpo vediamo anche solo l’ombra possiamo comunque intuire molte cose, così anche solo guardando le mie ombre posso capire molto di me, molto di quello che sta dentro di me e che non riesco a vedere chiaramente. Sono una metafora perfetta per descrivere quello che di misterioso c’è dentro di noi, e anche per descrivere la musica che faccio e quella che mi piace ascoltare.

Dopo aver fatto “Le ombre”, puoi dire quali sono le differenze fondamentali tra il lavorare ad un progetto solista e lavorare in gruppo.
Le differenze non sono molte, visto che per lavorare a questo disco sono stato affiancato da un gruppo di musicisti dei quali mi fido molto e ai quali ho delegato molto, primo fra tutti Giorgio Mastrocola, che è anche coautore dei brani e che ha condiviso con me molti anni di musica, essendo stato assieme a me uno dei fondatori de La Sintesi.

Da ragazzino, quando sognavi di fare questo mestiere, ti vedevi come un cantante solista o come il cantante di una band?
Facevo finta di essere su un palco con una band, usavo una racchetta da tennis come chitarra e mimavo tutto il concerto con tanto di introduzione e ingresso trionfale, ma avevo il timore che nella mia vita non sarei mai riuscito a scrivere una canzone completa con parole e musica.

Ascoltando il disco si ha l’impressione che si è fatto un gran lavoro per unire sonorità moderne con la classicità della canzone italiana: si percepisce dalla struttura delle canzoni, dai testi e soprattutto dagli arrangiamenti, sempre originali.
Credo che dipenda dal fatto che ho sempre cercato di unire la scrittura dei testi, la melodia e l’interpretazione vocale di alcuni cantautori storici della musica italiana (Battiato, De Gregori, Fossati) con le sonorità e gli arrangiamenti di certa musica inglese che mi ha formato.

Com’è nata l’idea di farsi arrangiare e produrre alcuni pezzi da Celso Valli? E com’è stato lavorare con lui?
Ho sempre visto il nome di Celso Valli citato in molti dischi italiani che mi hanno accompagnato dall'infanzia, alcuni di questi li ho molto apprezzati, al momento della scelta di un produttore mi è stato fatto il suo nome, ci siamo incontrati, mi ha detto delle cose entusiasmanti già dal primo incontro su come avrebbe voluto lavorare ai brani, che li trovava interessanti e voleva cercare di sperimentare. In lui ho trovato una sensibilità simile alla mia, di un brano tende sempre a salvaguardare prima di tutto la "magia", ha un modo molto ordinato di gestire gli strumenti, da vero conoscitore dell'armonia e dei registri timbrici di ogni strumento. E' anche un grande direttore d'orchestra, non ha usato gli archi come "colore" ma è riuscito a fargli tenere il filo emotivo dei brani pur relegando alle chitarre le parti principali, mi ha riavvicinato allo spartito, che facilita la comunicazione tra i musicisti nel momento della registrazione.

Molte canzoni dell’album hanno strofe brevi e un ritornello lungo e articolato. E’ una scelta precisa?
Non mi piacciono molto i ritornelli a slogan e ho difficoltà a dividere una canzone in strofa e ritornello, forse è per questo che le parti strutturali delle mie canzoni si mischiano, quello che mi interessa di una canzone è la fluidità. Durante la lavorazione ci è venuto naturale sostituire alla parola ritornello la parola apertura.

Quanto è stato difficile scrivere con parole semplici l’incanto dell’innamoramento in “Tutto strappato”?
E’ stato semplicissimo, la nascita di una canzone rimane tutt'oggi un mistero per me, mi sforzo di trovare un metodo ma mi rendo sempre più conto che ogni canzone ha una storia a sé, e le canzoni più belle le ho sempre scritte in cinque minuti, è una magia indescrivibile. “Tutto strappato” poi rappresenta per me un punto di svolta perché per la prima volta ho utilizzato delle immagini per raccontare la nascita di un amore, non c'è niente di spiegato con concetti eppure il testo si spiega perfettamente.

Come mai hai deciso di far parlare il vento in “Quando mi mento”?
Il vento è uno dei protagonisti di questo disco e della mia vita, ho imparato ad apprezzarlo da poco, ad amarlo quando pulisce l'aria, riempie il cielo di stelle e sembra che si porti via anche i miei malumori.

Rispetto a quelle della generazione di cantautori precedente alla tua (Silvestri, Bersani, Gazzè…) le tue canzoni fanno meno ricorso all’ironia. Lo consideri un limite?
Amo molto le canzoni che contengono qualcosa di drammatico, nei suoni o nelle parole, molte delle canzoni che ho nel cuore hanno su di me una funzione catartica, quando le ascolto e ne colgo il dramma mi sento vicino all'autore, e di conseguenza meno solo. L'ironia mi diverte, a volte mi fa riflettere, ma mi emoziona poco.

Recensendo il disco ho tirato in ballo i lavori solisti di Morgan e Luca Gemma come termini di paragone per “Le ombre”: sono paragoni che ti trovano d’accordo?
Purtroppo non conosco il lavoro di Gemma ma lo ascolterò. Essere paragonato a Morgan mi lusinga, lo considero un faro nella notte della musica contemporanea, un avanguardista.

Le prime volte che ascoltavo l’album, quando arrivavo a “Tutto strappato” mi sembrava che la canzone fosse talmente in sintonia con le cose contenute in “Canzoni dall’appartamento” di Morgan che, al momento del ritornello, mi scappava di cantare «voglio aria/ho un desiderio per aria». “Canzoni dall’appartamento” è un album che hai amato?
Mi piace molto. Ma non credo che la canzone risenta l'influenza di quell'album, la scrittura risale al 2002, è la prima canzone che ho scritto per "Le Ombre".

Riguardo Luca Gemma, invece, lui nel testo di una canzone è riuscito ad incastrare una frase di John Lennon. Tu sei andato oltre, inserendo nella title-track un proverbio egizio («sai che gli egizi dicevano che ognuno di noi è una stella/e che la vita è un percorso che serve a tornare in cielo»). Solo un concetto vicino al tema della canzone o hai un rapporto particolare con la cultura egizia?
Nelle canzoni entrano momenti di vita vissuta e influenze di ogni genere, ogni volta che scrivo una canzone mi rendo conto che è come uno sfogo dell'inconscio in cui rientrano impressioni e ricordi che non credevo di avere conservato dentro di me. 


Leggi la recensione del disco di Lele Battista, “Le ombre”:
http://www.ilmascalzone.it/articolo.php?id=4078

 

 

 Pierluigi Lucadei

Interviste

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