“Breakfast on Pluto” di Neil Jordan
Irlanda, anni Sessanta. Patrick, frutto di un amore proibito, viene abbandonato ancora in fasce davanti ai gradini di una chiesa; cresciuto in una fredda famiglia adottiva, fin da piccolo preferisce indossare abiti femminili eccentrici e farsi chiamare solamente Gattina, provocando le ire funeste della matrigna e dei suoi insegnanti. Trasferitasi a Londra, intenta nella doppia ricerca della vera felicità e della madre mai conosciuta, Gattina affronterà una serie di avventure che la porteranno ad intrecciare il proprio destino con quello di alcuni surreali personaggi (basti ricordare su tutti il cantante di una band stile Village People ed un mago che la vorrebbe come assistente e spalla comica), senza per questo spezzare il forte legame con gli amici della sua Irlanda.
“Breakfast on Pluto” non è solo un film sulla diversità e sulle identità sessuali: è anche questo ma soprattutto un grande atto d’amore del regista irlandese (“La moglie del soldato”, “Intervista col vampiro”, “Michael Collins”) verso la sua terra natia, i suoi colori sgargianti, le sue atmosfere atemporali e verso il cinema e il fare cinema, mutuando spesso immagini da film del passato che vedono protagonista la vera ossessione di Patrick, quella Mitzi Gaynor diva dei musical anni ’50 e a quanto pare identica alla madre scomparsa. Ciò che del film appare subito palese ed apprezzabile, oltre la strepitosa prova di Cillian Murphy (“Red eye”, “Batman begins”, “Sunshine”), è la fluidità narrativa e la leggerezza (azzeccata l’idea di presentare il film in capitoli, come si trattasse di un romanzo) con la quale vengono affrontati anche temi a dir poco scomodi come la discriminazione e l’intolleranza nei confronti del diverso e altresì la lotta dei separatisti dell’Ira: se nel film c’è tragedia, subito prende le forme narrative del melò o se possibile quello della fiaba, virando a favore di una esposizione che sembra voler preservare il più possibile i propri protagonisti dal resto del mondo e dalle sue brutture. Dalla campagna irlandese alla scintillante e glamorous Londra a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, Patrick/Gattina affronta la sua personale sfida come una novella Alice nel paese delle meraviglie senza mai perdere il sorriso sulle labbra e la voglia di abbattere convenzioni e muri ideologici largamente diffusi.
Arrivato nelle sale cinematografiche italiane a due anni dal debutto americano e dal successo di critica giustamente ottenuto (Cillian Murphy ha ottenuto per questo ruolo la sua prima nomination agli Oscar), il film è stato accolto da una serie di polemiche assolutamente infondate a causa di uno script a detta di molti critici audace e troppo esplicito: se qualcosa manca in realtà nel film è proprio questo, non essendo mai presente una scena erotica o velatamente tale, con le tematiche sessuali affrontate in un gioco ad incastri di detto e non detto, di visto e non visto, di passioni palesemente presenti ma non esplose. E forse sta anche qui il motivo della bellezza e della riuscita di questo film.
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