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Il Presidente USA George W. Bush

USA, con le elezioni midterm tramontano i teo-con?

Thumping è la parola usata da George W. Bush, che suona come una randellata, un pestaggio. Quella delle elezioni midterm è stata una vera e propria batosta per la Casa Bianca, che ha visto il suo Paese voltarle le spalle, forse definitivamente.
Il primo effetto del voto si è avuto subito. Le affrettatissime dimissioni del capo del Pentagono Donald Rumsfeld sono un chiaro segnale di come tutta la faccenda Iraq, dall’inizio delle ostilità allo smascheramento delle menzogne sulle armi di distruzione di massa per arrivare all’anarchia degli ultimi mesi, abbia pesato nella scelta di chi si è recato alle urne. Fuori Rumsfeld dunque, e fuori con lui anni di progetti di spregiudicatezza geopolitica spesso sfocianti in un unilateralismo esasperato e nell’illegalità internazionale. Se la prima poltrona a saltare è quella del falco dei falchi, del teorico della guerra preventiva, dell’uomo che non ha ancora condannato le sevizie di Abu Ghraib, anche la Casa Bianca avrà necessariamente messo in relazione la guerra con la decable repubblicana.
Contempliamo anche l’ipotesi, non troppo remota a ben vedere, che non sia stata la guerra in sé ad aver nociuto ai repubblicani, ma il modo in cui questa è stata condotta. Additare la guerra all’Iraq come l’unica causa della sconfitta alle urne vuol dire dimenticare che alle elezioni presidenziali del 2004, un anno e mezzo dopo l’inizio del conflitto, Bush aveva battuto Kerry garantendosi altri quattro anni di mandato e uscendo addirittura rinforzato dal voto (nel 2000 Al Gore aveva perso le elezioni nonostante la maggioranza del voto popolare). Sono passati altri due anni, però, e la situazione in Iraq non ha fatto passi in avanti. Alla vigilia del conflitto Rumsfled aveva parlato di guerra-lampo e di impiego di forze leggere, non paventando minimamente l’ipotesi che esportare la democrazia modello occidentale in un Paese diviso da profonde differenze religiose potesse essere più complicato del previsto. Molto meno saggi in questo, i falchi teo–con (non dimentichiamo, oltre a quella di Rumsfeld, l’inquietante figura di Paul Wolfowitz, il primo a parlare di guerra preventiva e di un attacco a Saddam già nei primissimi anni Ottanta), rispetto all’entourage di George Bush Senior, che non a caso rinunciò a marciare su Baghdad e a spodestare Saddam nel 1991, dopo aver sbrigato la faccenda Kuwait. E’ un caso dunque che per sostituire Rumsfled sia stato scelto Robert Gates, capo della Cia dal 1991 al 1993? George W. Bush ha dichiarato di non voler tornare a casa e lasciarsi alle spalle un Iraq che potrebbe finire col diventare un rifugio per al-Qaeda, ma, nello stesso tempo, ha finito col cedere all’evidenza della maggiore oculatezza delle scelte strategiche degli uomini di suo padre e a questi si è rivolto. Si è detto della scelta di Gates per il Pentagono, ma c’è anche James Baker (segretario di Stato di Bush Senior) all’Iraq Study Group, la commissione bipartisan che ha il compito di aiutare il Presidente ad uscire dal disastro iracheno, vagliando le exit strategies più convenienti e più realisticamente attuabili. Ecco, realismo può essere una parola chiave del rinnovamento del Partito Repubblicano e della politica estera USA. Rinunciare all’idealismo in favore di soluzioni che possano fare il bene degli USA e del mondo. Mantenere il livello di attenzione massimo sull’antiterrorismo, ammettere che la guerra non si è persa ma non si è neanche vinta, valutare le vie più praticabili per uscire dall’incubo iracheno e dal pasticcio diplomatico figlio dell’unilateralismo teo-con che ha esacerbato l’antiamericanismo di parte della popolazione nei Paesi amici, riconoscere gli errori e riaprire al dialogo. Realismo quindi, e pragmatismo: sarà necessaria per Bush una svolta in questo senso per non affondare del tutto, considerato che dovrà governare due anni con un Congresso a maggioranza democratica e con dei partner europei alle prese con cambiamenti istituzionali.
Sempre che la classe politica dei teo-conservatori si sbricioli come risultato di queste elezioni. Il che è molto probabile ma nient’affatto scontato. I falchi sopravviveranno in qualche modo e c’è da scommettere che sapranno restare nell’ombra e riapparire a tempo debito. Per adesso il dato di fatto inconfutabile è la fine della maggioranza repubblicana che ha fondato la sua fortuna sui pilastri dell’intransigenza religiosa, dell’esasperazione della propria volontà di potenza con le conseguenti derive belliche e sulla capacità di cavalcare l’onda della lotta al terrore per i propri fini. L’impressione è che sia finita un’epoca e che, con i teo-con, tramonti quella che è stata, come ha scritto il direttore de La Repubblica Ezio Mauro, “la prima ideologia che è calata sul nuovo secolo… la nuova etica selettiva della destra americana che pretende di incarnare i valori di un cristianesimo fondamentalista – meno il rifiuto della guerra – fino al punto da farsi spada, trasformando ovunque e per tutti quei valori in politica”. Il problema è che le elezioni presidenziali ci sono fra soli due anni e forse il Partito Repubblicano non avrà il tempo di fare una rivoluzione interna così massiccia come la batosta elettorale imporrebbe. 
 

 Pierluigi Lucadei

Editoriali

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